Oggi 2 novembre alle Catacombe di Priscilla: Papa Francesco spiega la "carta d'identità" del cristiano
Per la prima volta Papa Francesco visita una catacomba a Roma (e lo dice all'inizio dell'omelia).
In occasione delle due festività - profondamente collegate tra loro - dei Santi e dei Defunti - il rischio (dei discorsi di circostanza e anche di alcune omelie nelle nostre chiese) può essere quello di scadere in certe versioni edulcorate di cristianesimo, un tantino sdolcinate o eccessivamente spiritualistiche di tutta la faccenda.
(in tema di "dolcificanti" è pur vero che le nostre tradizioni cattoliche italiane comprendono tanti buonissimi dolci e biscotti tipici per queste occasioni, ma questi sono preparati per la festa nelle nostre case, in famiglia e con gli amici - per ricordare con affetto i nostri cari e per stare "in compagnia dei santi".
Ma in genere si auspica che non confondiamo la parte liturgica, la Messa e le preghiere comuni del calendario cattolico con la parte culinaria che si fa nelle case, o nelle pasticcerie e nelle caffetterie, o anche nelle sagre paesane appena usciremo dalla porta della chiesa o dal cimitero).
In questi giorni si potrebbero citare due famosi atteggiamenti estremi coi quali le persone reagiscono alla paura della morte:
la versione "lugubre" di Halloween (quello di importazione commerciale anglosassone) con tanta gente che ama abbruttirsi truccandosi da cadavere ambulante in decomposizione,
e la versione carnevalesca popolare messicana che letteralmente festeggia la morte con rumorose manifestazioni di piazza e ballando in maschera (come se si trattasse di una cosa bellissima e allegrissima. Non nel senso di San Francesco d'Assisi che ringrazia Dio anche per la morte e per la sofferenza. In Messico esiste invece questa grande festa del tipo "ehi, siamo proprio contenti di morire e ci organizziamo il carnevale!").
Eccoci qui quindi - come cristiani - a testimoniare, particolarmente in questi due giorni, il nostro modo di vivere questo aspetto fondamentale della vita. Nel cristianesimo il focus è infatti la vita: come viviamo adesso, considerando anche il dopo? Come viviamo nel tempo, considerando anche l'eternità?
L'omelia di oggi di Papa Francesco, che sto leggendo in tarda serata del 2 novembre (e che aggiungo ora agli altri due post già programmati per oggi: 1qui e 2qui),
la trovo particolarmente ben fatta. [disclaimer: non nel senso che il Papa necessiti della mia approvazione😊]
Discorso molto concreto, molto diretto.
Lontano da versioni poetiche new age, certamente lontano dall'orgoglio di essere vampiri o cadaveri che camminano, ma anche lontano dal carnevale dei morti-allegri in sfilata messicana.
Con poche parole e con alcune immagini il Papa delinea efficacemente il modo cristiano di pensare alla vita e alla morte.
Quindi copio-incollo integralmente dal link e lascio ai lettori la meditazione
http://m.vatican.va/content/francescomobile/it/homilies/2019/documents/papa-francesco_20191102_omelia-defunti.html
In occasione delle due festività - profondamente collegate tra loro - dei Santi e dei Defunti - il rischio (dei discorsi di circostanza e anche di alcune omelie nelle nostre chiese) può essere quello di scadere in certe versioni edulcorate di cristianesimo, un tantino sdolcinate o eccessivamente spiritualistiche di tutta la faccenda.
(in tema di "dolcificanti" è pur vero che le nostre tradizioni cattoliche italiane comprendono tanti buonissimi dolci e biscotti tipici per queste occasioni, ma questi sono preparati per la festa nelle nostre case, in famiglia e con gli amici - per ricordare con affetto i nostri cari e per stare "in compagnia dei santi".
Ma in genere si auspica che non confondiamo la parte liturgica, la Messa e le preghiere comuni del calendario cattolico con la parte culinaria che si fa nelle case, o nelle pasticcerie e nelle caffetterie, o anche nelle sagre paesane appena usciremo dalla porta della chiesa o dal cimitero).
In questi giorni si potrebbero citare due famosi atteggiamenti estremi coi quali le persone reagiscono alla paura della morte:
la versione "lugubre" di Halloween (quello di importazione commerciale anglosassone) con tanta gente che ama abbruttirsi truccandosi da cadavere ambulante in decomposizione,
e la versione carnevalesca popolare messicana che letteralmente festeggia la morte con rumorose manifestazioni di piazza e ballando in maschera (come se si trattasse di una cosa bellissima e allegrissima. Non nel senso di San Francesco d'Assisi che ringrazia Dio anche per la morte e per la sofferenza. In Messico esiste invece questa grande festa del tipo "ehi, siamo proprio contenti di morire e ci organizziamo il carnevale!").
Eccoci qui quindi - come cristiani - a testimoniare, particolarmente in questi due giorni, il nostro modo di vivere questo aspetto fondamentale della vita. Nel cristianesimo il focus è infatti la vita: come viviamo adesso, considerando anche il dopo? Come viviamo nel tempo, considerando anche l'eternità?
L'omelia di oggi di Papa Francesco, che sto leggendo in tarda serata del 2 novembre (e che aggiungo ora agli altri due post già programmati per oggi: 1qui e 2qui),
la trovo particolarmente ben fatta. [disclaimer: non nel senso che il Papa necessiti della mia approvazione😊]
Discorso molto concreto, molto diretto.
Lontano da versioni poetiche new age, certamente lontano dall'orgoglio di essere vampiri o cadaveri che camminano, ma anche lontano dal carnevale dei morti-allegri in sfilata messicana.
Con poche parole e con alcune immagini il Papa delinea efficacemente il modo cristiano di pensare alla vita e alla morte.
Quindi copio-incollo integralmente dal link e lascio ai lettori la meditazione
http://m.vatican.va/content/francescomobile/it/homilies/2019/documents/papa-francesco_20191102_omelia-defunti.html
CELEBRAZIONE DELLA SANTA MESSA PER LA COMMEMORAZIONE DEI DEFUNTI
OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO
Catacombe di Priscilla in Via Salaria
Sabato, 2 novembre 2019
Sabato, 2 novembre 2019
La celebrazione della festa di tutti i defunti in una catacomba – per me è la prima volta nella vita che entro in una catacomba, è una sorpresa – ci dice tante cose. Possiamo pensare alla vita di quella gente, che doveva nascondersi, che aveva questa cultura di seppellire i morti e celebrare l’Eucaristia qui dentro… È un momento della storia brutto, ma che non è stato superato: anche oggi ce ne sono. Ce ne sono tanti. Tante catacombe in altri Paesi, dove perfino devono fare finta di fare una festa o un compleanno per celebrare l’Eucaristia, perché in quel posto è vietato farlo. Anche oggi ci sono cristiani perseguitati, più che nei primi secoli, di più. Questo – le catacombe, la persecuzione, i cristiani – e queste Letture, mi fanno pensare a tre parole: l’identità, il posto e la speranza.
L’identità di questa gente che si radunava qui per celebrare l’Eucaristia e per lodare il Signore, è la stessa dei nostri fratelli di oggi in tanti, tanti Paesi dove essere cristiano è un crimine, è vietato, non hanno diritto. La stessa. L’identità è questa che abbiamo sentito: sono le Beatitudini. L’identità del cristiano è questa: le Beatitudini. Non ce n’è un’altra. Se tu fai questo, se vivi così, sei cristiano. “No, ma guarda, io appartengo a quell’associazione, a quell’altra…, sono di questo movimento…”. Sì, sì, tutte cose belle; ma queste sono fantasia davanti a questa realtà. La tua carta d’identità è questa [indica il Vangelo], e se tu non hai questa, non servono a nulla i movimenti o le altre appartenenze. O tu vivi così, o non sei cristiano. Semplicemente. Lo ha detto il Signore. “Sì, ma non è facile, non so come vivere così…”. C’è un altro brano del Vangelo che ci aiuta a capire meglio questo, e quel passo del Vangelo sarà anche il “grande protocollo” secondo il quale saremo giudicati. È Matteo 25. Con questi due passi del Vangelo, le Beatitudini e il grande protocollo, noi faremo vedere, vivendo questo, la nostra identità di cristiani. Senza questo non c’è identità. C’è la finzione di essere cristiani, ma non l’identità.
Questa è l’identità del cristiano. La seconda parola: il posto. Quella gente che veniva qui per nascondersi, per essere al sicuro, anche per seppellire i morti; e quella gente che celebra l’Eucaristia oggi di nascosto, in quei Paesi dove è vietato… Penso a quella suora in Albania che era in un campo di rieducazione, al tempo comunista, ed era vietato ai sacerdoti dare i sacramenti, e questa suora, lì, battezzava di nascosto. La gente, i cristiani sapevano che questa suora battezzava e le mamme si avvicinavano con il bambino; ma questa non aveva un bicchiere, qualcosa per mettere l’acqua… Lo faceva con le scarpe: prendeva dal fiume l’acqua e battezzava con le scarpe. Il posto del cristiano è un po’ dappertutto, noi non abbiamo un posto privilegiato nella vita. Alcuni vogliono averlo, sono cristiani “qualificati”. Ma questi corrono il rischio di rimanere con il “qualificati” e far cadere il “cristiano”. I cristiani, qual è il loro posto? «Le anime dei giusti sono nelle mani di Dio» (Sap 3,1): il posto del cristiano è nelle mani di Dio, dove Lui vuole. Le mani di Dio, che sono piagate, che sono le mani del suo Figlio che ha voluto portare con sé le piaghe per farle vedere al Padre e intercedere per noi. Il posto del cristiano è nell’intercessione di Gesù davanti al Padre. Nelle mani di Dio. E lì siamo sicuri, succeda quel che succeda, anche la croce. La nostra identità [indica il Vangelo] dice che saremo beati se ci perseguitano, se dicono ogni cosa contro di noi; ma se siamo nelle mani di Dio piagate di amore, siamo sicuri. Questo è il nostro posto. E oggi possiamo domandarci: ma io, dove mi sento più sicuro? Nelle mani di Dio o con altre cose, con altre sicurezze che noi “affittiamo” ma che alla fine cadranno, che non hanno consistenza?
Questi cristiani, con questa carta d’identità, che vivevano e vivono nelle mani di Dio, sono uomini e donne di speranza. E questa è la terza parola che mi viene oggi: speranza. L’abbiamo sentito nella seconda Lettura: quella visione finale dove tutto è ri-fatto, dove tutto è ri-creato, quella Patria dove tutti noi andremo. E per entrare lì non ci vogliono cose strane, non ci vogliono atteggiamenti un po’ sofisticati: ci vuole soltanto di far vedere la carta d’identità: “È a posto, vai avanti”. La nostra speranza è in Cielo, la nostra speranza è ancorata lì e noi, con la corda in mano, ci sosteniamo guardando quella riva del fiume che dobbiamo attraversare.
Identità: Beatitudini e Matteo 25. Posto: il posto più sicuro, nelle mani di Dio, piagate di amore. Speranza, futuro: l’ancora, là, nell’altra riva, ma io ben aggrappato alla corda. Questo è importante, sempre aggrappati alla corda! Tante volte vedremo soltanto la corda, neppure l’ancora, neppure l’altra riva; ma tu, aggrappati alla corda che arriverai sicuro.
Papa Francesco, 2 novembre 2019
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