La storia di San Giuseppe, come santo lavoratore. Primo Maggio: come nasce il punto d'incontro tra la Chiesa e il mondo (evitando brutti scontri ma parlando chiaro)

Sulle vie del web ho trovato in proposito un articolo, sintetico e molto ben fatto, di Gianmario Pagano, il celebre Bella, prof! dei relativi social
[il dott. Pagano è professore di religione, romano, prete, e molto altro]

Articolo pubblicato dall'autore al link

Titolo originale:
Il santo dell'era industriale

Ringrazio il Prof che spiega:

La devozione a San Giuseppe ha ovviamente radici antichissime, dato che si tratta di uno dei personaggi chiave dei vangeli, ma in pochi sono consapevoli di quanto sia cresciuta dall’inizio della rivoluzione industriale fino a raggiungere il suo apice in tempi a noi vicinissimi.

Nel Medioevo, San Tommaso d’Aquino e San Bernardo di Chiaravalle scrissero della sua importanza, contribuendo ancora di più a diffonderne il culto. Nel 1479, papa Sisto IV inserì la festa di San Giuseppe nel calendario liturgico romano e, nel 1621, papa Gregorio XV ne estese l’osservanza a tutta la Chiesa cattolica, che nel frattempo aveva conquistato anche il Nuovo Mondo.

Ma fu a partire dalla rivoluzione industriale che la devozione a San Giuseppe conobbe un’accelerazione sorprendente. In questo periodo, nacque una nuova sensibilità sociale e una maggiore attenzione alle condizioni di vita degli operai e delle loro famiglie. San Giuseppe, essendo un artigiano e padre di famiglia, divenne un modello di riferimento per i lavoratori e un simbolo della dignità del loro ruolo insostituibile.

Pio IX, nel 1870, proclamò solennemente san Giuseppe “patrono della Chiesa universale”, ma furono Pio XII e poi Giovanni Paolo II a dargli una ancora più forte valenza “sociale”, anche in chiave – sarebbe ingenuo nasconderlo – fortemente anticomunista.

Pio XII, sulla scia di una lunga tradizione capace di cambiare il significato delle feste pagane senza abolirle, proclamò la festa di San Giuseppe lavoratore il Primo Maggio esplicitamente con l’intento di sovrapporre al suo significato politico, cavalcato allora in chiave atea e anticristiana, un significato profondamente religioso, che non negasse le istanze di giustizia e di dignità che ribollivano tra i lavoratori nei gradini più bassi della scala sociale.

Giovanni XXIII, nella lettera apostolica “Le voci”, lo elesse a patrono del Concilio Vaticano II. Nella stessa lettera elenca in dettaglio tutto ciò che era stato affermato su San Giuseppe da tutti i suoi predecessori negli ultimi cento anni, a partire proprio da Pio IX.

Sulla medesima linea si poneva Giovanni Paolo II, che rinforzava il patrocinio di San Giuseppe nel 1981 con la sua enciclica “Laborem Exercens”, senza celare l’intento di benedire e sostenere il sindacato Solidarnosc e i seguenti moti polacchi che portarono alla caduta dell’URSS.

Ma la devozione di Giovanni Paolo II a San Giuseppe andava oltre i suoi effetti sulla storia. Nel 1989, pubblicò l’enciclica “Redemptoris Custos” (Custode del Redentore), in cui rifletteva sul ruolo di San Giuseppe nella vita di Gesù e nella storia della salvezza, sottolineando l’importanza del suo esempio di fedeltà e di servizio tanto umile quanto straordinariamente efficace.

Benedetto XVI, all’inizio del XXI secolo, aggiunge il suo nome al canone della Messa, subito dopo quello di Maria. Francesco, dal canto suo, lo cita spessissimo nei suoi discorsi.

I santi lavoratori, del resto, sono i più affidabili: sognano, ma si alzano la notte per permetterci di sopravvivere; ascoltano, studiano e pensano, ma si rimboccano le maniche per trasformare la teoria in pratica. Non si fermano a contemplare, ma costruiscono. Non si domandano “se”, ma “come”.

Suggerisco al papa attuale, o a quello che verrà, di eleggerlo ancora una volta a patrono dell’era post-industriale. C’è un immenso lavoro, materiale e spirituale, che attende il mondo e la Chiesa nel mondo: il lavoro nella quarta fase dell’era digitale, il lavoro immenso per ritrovare un equilibrio con l’ambiente, il lavoro necessario a risollevare ancora i popoli dalla povertà, il lavoro degli imprenditori insieme a quello degli operai, il lavoro che attende chi, forse, rimetterà in piedi questo pianeta, renderà migliore la convivenza degli uomini, ci darà nuove fonti di energia, ci assisterà nella malattia e persino realizzerà la conquista dello spazio. Senza dimenticare il lavoro immenso di chi è chiamato, qui e ora, a operare per la pace. O, forse, semplicemente, e sarebbe già una gran cosa, chi lavorerà instancabilmente per impedire che la pigrizia e il lasciar correre ci conduca a tutte le apocalissi immaginabili.

Don Gianmario Pagano


Articolo originale al link
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