La crisi della Chiesa nel pensiero di Joseph Ratzinger (papa emerito Benedetto XVI)
L'intervista che propongo di leggere fa parte di quelle che si possono definire storiche.
E, come spesso accade per padre Benedetto, risulta anche profetica (nel senso più ampio e originario del termine - cioè quello attribuito ai Profeti di Israele. Che non è il senso del "maghetto che fa previsioni con la sfera di cristallo").
È stata rilasciata al giornale cattolico tedesco Die Tagespost nel 2003. Anche se sembra rilasciata ieri, appunto. È abbastanza lunga e articolata - e spazia attraverso varie tematiche. La conversazione si è svolta in lingua tedesca. Poi tradotta in varie lingue.
Nel 2003 Joseph Ratzinger era cardinale e lavorava a stretto contatto con Giovanni Paolo II. Circa due anni dopo (nel 2005) il Card. Ratzinger diventerà Papa Benedetto XVI - fino alla rinuncia al pontificato del 2013, quando deciderà di rimanere al servizio della Chiesa nella preghiera e nel sostegno a Papa Francesco. Padre Benedetto, attualmente, abita nel Monastero Mater Ecclesiae che si trova all'interno dei Giardini Vaticani.
Il testo integrale italiano si può leggere QUI - un famoso blog cattolico (per la precisione è un insieme di blog dello stesso autore "anonimo") che ringrazio sentitamente. L'anonimo o anonima si fa chiamare Raffaella e da anni raccoglie i testi di Joseph Ratzinger, mettendoli a disposizione per la lettura/studio online.
[Nota2. Nell'intervista completa gli eventuali lettori interessati potranno anche trovare / verificare lo "sfondo", il background di ciò che è accaduto nella Chiesa (soprattutto in quella tedesca) negli ultimi anni, incluso il recente flame mediatico su Benedetto. Cioè, dalle parole del 2003 del card. Ratzinger si possono intuire a grandi linee le motivazioni degli attacchi che egli ha patito all'interno della Chiesa ad opera di alcune "correnti" che da tanto tempo mirano a screditarlo. Comunque di questo ho già scritto qui e qui ed è anche troppo! Il pensiero di Benedetto merita di essere conosciuto - senza ulteriori perdite di tempo causate dalle miserevoli messe in scena di certe correnti ideologiche. La mia opinione personale è che tali divisioni interne su base politica/dottrinale, insieme agli scandali degli abusi sessuali, insieme alla proliferazione di troppi "movimenti" ecclesiali più simili alle psicosètte che a gruppi cristiani, la perdita generale del senso del sacro nella pratica liturgica e nella considerazione dei sacramenti, l'abbandono della tradizionale armonia cattolica tra Fede e Ragione, nonché la religione "fai-da-te" e "cherry picking" diffusa tra i cattolici... Penso che queste siano le peggiori ferite di cui soffre oggi la Chiesa di Cristo. E di conseguenza i singoli fedeli che, spesso inconsapevoli, subiscono quelle ferite. Fine della Nota2].
Avviso sugli estratti che ho scelto:
Egli, in teoria, doveva parlare al Tagespost della situazione della Chiesa in Germania, e certo ne parla, però poi in pratica amplia il discorso e traccia un quadro che vale per tutta la Chiesa in generale (parlando inoltre anche delle chiese protestanti e delle questioni ecumeniche).
Perciò è tutto molto interessante.
3 ottobre 2003
Risposte del Cardinale Joseph Ratzinger all'intervistatore del giornale cattolico tedesco Die Tagespost.
In una tale situazione generale, dove la nuova autorità – che viene ritenuta la “scienza” – interviene e dice l’ultima parola, e dove persino la cosiddetta divulgazione scientifica dichiara se stessa “scienza”, è molto più difficile conservare il concetto di Dio e soprattutto aderire al Dio biblico, al Dio di Gesù Cristo, accettarlo e vedere nella Chiesa la comunità vivente di quella fede. Direi, pertanto, che [oggi] vi è un altro punto - che parte da un'obiettiva condizione di consapevolezza - un punto in cui la fede esige un impegno molto più grande e il coraggio di resistere alle certezze solo apparenti.
[Oggi] La scalata fino a Dio è diventata molto più difficile.
Nei primi tempi la Chiesa ha sopportato anche le espressioni di fede più deboli: [per i fedeli di un tempo la Chiesa] era come una patria spirituale, come un luogo di appartenenza, come l'istituzione che propone regole e precetti ma anche che accompagna attraverso la vita. Sembra che oggi non sia più così.
(...)
La crisi della Chiesa è l’aspetto più concreto di questa crisi di coscienza e di fede.
La Chiesa non appare più come la comunità vivente, che deriva da Cristo stesso e si rende garante della Sua parola, che ci offre con ciò una dimora spirituale e la certezza della verità della nostra fede. Oggi essa appare come una comunità fra tante altre: vi sono molte chiese, direbbe qualcuno, e sarebbe umanamente sconveniente ritenere la propria la migliore.
Già una forma di umana cortesia spinge a relativizzare la propria, e lo stesso vale per le altre.
Si tratterebbe pertanto di casuali aggregati sociali, peraltro inevitabili, ma che non ci garantiscono più: “Qui tu sei veramente a casa”.
Questa disgregazione della coscienza ecclesiale, che naturalmente dipende anche da tutte le restrizioni imposte all’odierna situazione spirituale e ne rappresenta la concreta applicazione, è sicuramente una delle cause principali per cui la Parola di Dio non giunge più a noi con autorità, ma tutt’al più diciamo: C’è qualcosa di bello in essa, ma devo cercarvi da solo ciò che io ritengo giusto.
(...)
Noi ci occupiamo di ecumenismo e intanto dimentichiamo che la Chiesa nel suo interno si è spaccata e che tale spaccatura penetra fin dentro le famiglie e le comunità.
(...)
Prima di tutto noi dobbiamo imparare di nuovo questo: esiste una fede della Chiesa che non è una fissazione autoritaria, bensì l’eredità lasciata da Gesù Cristo alla sua Chiesa.
Se occasionalmente viene detto – come ad esempio nell’ultima enciclica sull’Eucaristia – che la fede non dovrebbe essere resa uniforme in modo autoritario, è naturale che ciò sembri eccellente. Ma poi mi chiedo: qual è l’alternativa da percorrere? Ognuno può decidere le cose da se stesso?
(...)
In nessun caso bisognerebbe ricominciare a introdurre cambiamenti esteriori non ancora preparati interiormente.
Nella liturgia si sono creati dei problemi perché si sono cambiate troppo presto delle esteriorità senza prepararle ed elaborarle dall’interno.
Allora è sorta l’idea che la liturgia sia propriamente la manifestazione della comunità. Ciò è stato sottolineato fortemente: la comunità come il soggetto della liturgia.
Questo significava, pertanto, che la comunità decide da sé stessa come celebrare. Si sono quindi formati settori [di Chiesa] che hanno messo in pratica tutto ciò. Altri non vi hanno partecipato e questo non è piaciuto ai primi.
Sono necessarie delle correzioni interiori prima di porre mano a cose esteriori. Se ora si ricomincia a inventare nell’esteriore, non prevedo nulla di buono. Dobbiamo arrivare ad una nuova educazione liturgica, in cui si divenga consapevoli che la liturgia appartiene a tutta la Chiesa, che in essa la comunità si unisce con la Chiesa Universale, con Cielo e Terra, e che ciò inoltre rappresenta la garanzia che il Signore viene e che succede qualcosa che non può accadere in nessun altro "luogo": in nessun intrattenimento e in nessuno spettacolo.
Solo quando noi volgiamo di nuovo lo sguardo su queste cose più grandi può sorgere una vera unità interiore e ci si può anche interrogare sulle migliori forme dei riti esteriori. Prima, però, deve crescere una comprensione interiore della liturgia, che ci unisce gli uni con gli altri.
Nella liturgia non dobbiamo di volta in volta rappresentare le nostre invenzioni, non dobbiamo introdurre ciò che noi abbiamo inventato, bensì ciò che ci viene rivelato.
(...)
[Nota. La seguente risposta del card. Ratzinger è in riferimento al cosiddetto "caso Hasenhüttl" e al suo libro Fede senza Mito, pubblicato in Germania nel 2001. Hasenhüttl è un teologo prete cattolico che in pratica sostiene l'inesistenza di Dio se non come un simbolo delle relazioni amorevoli tra le persone; lo stesso sostiene per l'Eucaristia come evento simbolico, e altre dottrine non compatibili col credo cattolico - cioè sono dottrine incompatibili se vengono insegnate in ambito cattolico, come è avvenuto in Germania per diversi anni prima che qualche vescovo intervenisse. Per info sul prete teologo in questione vedi link
https://de.m.wikipedia.org/wiki/Gotthold_Hasenh%C3%BCttl ]
Non si aspetterà che io ora emetta un giudizio sui Vescovi tedeschi del passato né su quelli attuali… Per cinque anni sono stato anch’io uno di loro. Pertanto vorrei rimandare questo giudizio ai prossimi tempi, che potranno giudicare in modo più calmo e obiettivo. [...]
Vorrei però dire che la nostra tendenza – anch’io allora la pensavo così – era orientata a dare valore prioritario al rimanere uniti, all’evitare le pubbliche conflittualità e le ferite laceranti che potevano derivarne.
A causa di questo si è sottovalutato l’effetto di altre cose. Si è fatto presto a dire: quel libro, al massimo, lo leggeranno forse duemila persone – e cosa può significare di fronte all'intera comunità dei fedeli, la maggior parte dei quali non ne capirà niente? Ora, anche solo se richiamassimo l’attenzione, verrebbero inflitte delle ferite che colpirebbero tutti quanti. Allora si è taciuto.
Così facendo, però, si è sottovalutato il fatto che ogni veleno tollerato lascia dietro di sé della velenosità, che continua la sua azione nefasta e, alla fine, porta con sé un grave pericolo per la fede della Chiesa, perché lascia subentrare una convinzione: nella Chiesa si può dire tutto, questo e quello, tutto trova posto in essa.
Certo: è stato sottovalutato nella sua grande importanza l’impegno di mantenere limpida la fede e, come tale, di presentarla quale il massimo dei beni; e questo non soltanto in Germania, ma dovunque abbia avuto luogo un simile dibattito sul corretto comportamento dei pastori.
Qui si tratta dell’effetto a lungo termine di tali iniezioni di veleno. Per quanto poco se ne sapesse di preciso, ne è derivata l’impressione che la fede non fosse così importante.
Non voglio incolpare nessuno dei singoli, ma, in una specie di esame di coscienza, dovremmo intenderci nuovamente sulla priorità della fede e renderci consapevoli degli effetti a lungo termine di tali errori.
Dobbiamo imparare a vedere più chiaramente che la quiete pura e semplice non è il primo dovere cristiano e che la fede può diventare debole e falsa, se non ha più alcun contenuto.
(...)
La nomina di Roma [dei vescovi] non cade direttamente dal cielo, ma risulta da un sondaggio condotto nel popolo di Dio, fra i Vescovi e sacerdoti, per vedere quali figure emergano nella comunità di fede, degne di fiducia ed in grado di svolgere una funzione di guida. Pertanto, la partecipazione della Chiesa locale alla scelta dei Vescovi è molto più forte di quanto generalmente si immagini.
Immediatamente dopo il Concilio, furono cercati proprio i Vescovi che volevano e potevano introdurre i cambiamenti ora conclusi. Ciò in parte è avvenuto anche troppo in fretta, ma chi può incolpare quelli di allora? A causa di questi rapidi cambiamenti, poi, si giunse in molte comunità a quella rottura di cui abbiamo appunto parlato. Così si dovette, alla fine, cercare dei riconciliatori.
E non a caso venne allora con insistenza in primo piano l’espressione “il vescovo è pontifex! – il vescovo è uno che costruisce ponti, che riunisce insieme. Per quanto riguarda i problemi che ne sono derivati, oggi dobbiamo ancor più fortemente ricordare che il pontifex non deve costruire ponti solo per riunire i singoli fedeli, ma anche per condurre a Dio e alla grande comunità della Chiesa. Dovremmo anche nuovamente ricordare che il termine pontifex è derivato dal mondo pagano – poi fu certamente adattato al mondo cristiano –, ma che la Bibbia ci propone più intensamente la figura del pastore. Secondo la tradizione biblica il pastore precede il gregge. Egli indica la via da seguire, stabilisce anche dei criteri ed è pronto a opporsi a forze contrarie. Direi pertanto che il coraggio di sostenere contestazioni, il coraggio di intervenire contro la political correctness rispetto alla fede deve essere oggi un criterio decisivo per il Vescovo. Ma rimane sempre ovvio però che egli deve anche aiutare il suo gregge a riconoscersi nell’unità e ad accordarsi comunitariamente con lui.
[Nota. La risposta seguente riguarda la Bibbia, l'esegesi biblica e il cosiddetto Gesù storico]
Il problema dell’esegesi storico-critica è naturalmente enorme. Già da più di cento anni scuote la Chiesa, e non solo quella cattolica. Anche per le chiese protestanti è un grosso problema. È già molto significativo che nel protestantesimo si siano formate delle comunità fondamentaliste, che contrastano tali tendenze al dissolvimento e che hanno deciso di recuperare integralmente la fede attraverso il rifiuto del metodo storico-critico.
Sotto molti aspetti noi cattolici stiamo meglio. Per i protestanti, che non hanno voluto accettare la corrente esegetica, è rimasto effettivamente solo il trincerarsi dietro la canonizzazione della testualità biblica e dichiararla intoccabile.
Dobbiamo arrivare a un quadro ben preciso – questo è un combattimento ora di nuovo in pieno corso: l’esegesi storico-critica è il sostegno dell’interpretazione biblica, che ci permette conoscenze essenziali, e come tale va rispettata, ma deve anche essere vagliata, poiché proprio i giovani esegeti odierni mostrano quanta incredibile filosofia si nasconda nella loro esegesi.
Ciò che sembra rispecchiare fatti concreti e passa per "voce della scienza" è in realtà l'espressione di un determinato concetto del mondo, secondo il quale, ad esempio, non può esserci resurrezione dalla morte oppure Gesù non può avere parlato in tale e tale modo, oppure altre cose ancora. Al giorno d’oggi, proprio fra i giovani esegeti vi è la tendenza a relativizzare l’esegesi storica, la quale mantiene il suo significato ma da parte sua reca in sé dei presupposti filosofici che devono essere criticati, verificati.
Il Gesù che ci offrono i Vangeli è sempre il vero Gesù. Tutte le altre sono costruzioni frammentarie, in cui si rispecchia più lo spirito del tempo che non le origini.
(...)
3 ottobre 2003
© Copyright Die Tagespost, 3 ottobre 2003
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