Seconda domenica di Avvento 2021. Omelia di Papa Francesco da Atene (durante il viaggio apostolico)

Qui di seguito l'omelia della Santa Messa celebrata oggi dal Papa ad Atene. 
Alla fine allego anche le letture della Messa. E una piccola nota sull'etimologia e sull'interpretazione che Papa Francesco ha dato di metánoia durante l'omelia. 

Avviso ai naviganti: domani sera pubblicherò un post con tutti i link della Santa Sede per accedere velocemente da un'unica pagina ai diversi discorsi papali di questo importante viaggio apostolico (Cipro e Grecia 2-6 dicembre 2021). Compresi link ai contenuti multimediali, foto, video, ecc. per chi non ha potuto seguire tutta la densa agenda del viaggio. 
(E vorrei proprio vedere chi, a parte i giornalisti vaticanisti in viaggio con Francesco, abbia potuto seguire per ore in diretta tivù o streaming tutti gli appuntamenti di Cipro e della Grecia, tutti gli incontri e tutti i discorsi pronunciati. Alla fine, come già osservato in altre occasioni, se si vuole sapere cosa ha detto davvero il Papa su un determinato argomento, i suoi punti più sottolineati e i contesti in cui inquadrare le mezze frasi mandate in onda nei tg... Bisogna andare a leggersi con calma i testi completi)

Nel frattempo...
Buona lettura di questo 😇

(E non dimenticare di andare a fondo pagina per vedere l'appunto etimologico sulla metánoia)

Santa Messa al
“Megaron Concert Hall” 
Atene
Domenica, 5 dicembre 2021

Omelia di Papa Francesco

Fonte: Santa Sede

In questa seconda Domenica di Avvento la Parola di Dio ci presenta la figura di San Giovanni Battista. Il Vangelo ne sottolinea due aspetti: il luogo dove si trova, il deserto, e il contenuto del suo messaggio, la conversione. Deserto e conversione: su questo insiste il Vangelo di oggi e tanta insistenza ci fa capire che queste parole ci riguardano direttamente. Accogliamole entrambe.

Il deserto. L’evangelista Luca introduce questo luogo in un modo particolare. Parla infatti di circostanze solenni e di grandi personaggi del tempo: cita il quindicesimo anno dell’imperatore Tiberio Cesare, il governatore Ponzio Pilato, il re Erode e altri “leader politici” di allora; poi menziona quelli religiosi, Anna e Caifa, che stavano presso il Tempio di Gerusalemme (cfr Lc 3,1-2). A questo punto dichiara: «La parola di Dio venne su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto» (Lc 3,2). Ma come? Ci saremmo aspettati che la Parola di Dio si rivolgesse a uno dei grandi appena elencati. E invece no. Dalle righe del Vangelo emerge una sottile ironia: dai piani alti dove dimorano i detentori del potere si passa improvvisamente al deserto, a un uomo sconosciuto e solitario. Dio sorprende, le sue scelte sorprendono: non rientrano nelle previsioni umane, non seguono la potenza e la grandezza che l’uomo abitualmente gli associa. Il Signore predilige la piccolezza e l’umiltà. La redenzione non inizia a Gerusalemme, ad Atene o a Roma, ma nel deserto. Questa strategia paradossale ci dona un messaggio molto bello: avere autorità, essere colti e famosi non è una garanzia per piacere a Dio; anzi, potrebbe indurre a insuperbirsi e a respingerlo. Serve invece essere poveri dentro, come povero è il deserto.

Restiamo sul paradosso del deserto. Il Precursore prepara la venuta di Cristo in questo luogo impervio e inospitale, pieno di pericoli. Ora, se uno vuole dare un annuncio importante, di solito va in posti belli, dove c’è tanta gente, dove c’è visibilità. Giovanni invece predica nel deserto. Proprio lì, nel luogo dell’aridità, in quello spazio vuoto che si stende a perdita d’occhio e dove quasi non c’è vita, lì si rivela la gloria del Signore, che – come profetizzano le Scritture (cfr Is 40,3-4) – cambia il deserto in un lago, la terra arida in sorgenti d’acqua (cfr Is 41,18). Ecco un altro messaggio rincuorante: Dio, adesso come allora, volge lo sguardo dove dominano tristezza e solitudine. Possiamo sperimentarlo nella vita: Egli spesso non riesce a raggiungerci mentre siamo tra gli applausi e pensiamo solo a noi stessi; ci riesce soprattutto nelle ore della prova. Ci visita nelle situazioni difficili, nei nostri vuoti che gli lasciano spazio, nei nostri deserti esistenziali. Lì ci visita il Signore.

Cari fratelli e sorelle, nella vita di una persona o di un popolo non mancano momenti in cui si ha l’impressione di trovarsi in un deserto. Ed ecco che proprio lì si fa presente il Signore, il quale spesso non viene accolto da chi si sente riuscito, ma da chi sente di non farcela. E viene con parole di vicinanza, compassione e tenerezza: «Non temere, perché io sono con te; non smarrirti, perché io sono il tuo Dio. Ti rendo forte e ti vengo in aiuto» (v. 10). Predicando nel deserto, Giovanni ci assicura che il Signore viene a liberarci e a ridarci vita proprio nelle situazioni che sembrano irredimibili, senza vie d’uscita: lì viene. Non c’è dunque luogo che Dio non voglia visitare. E oggi non possiamo che provare gioia nel vederlo scegliere il deserto, per raggiungerci nella nostra piccolezza che ama e nella nostra aridità che vuole dissetare! Allora, carissimi, non temete la piccolezza, perché la questione non è essere piccoli e pochi, ma aprirsi a Dio e agli altri. E non temete nemmeno le aridità, perché non le teme Dio, che lì viene a visitarci!

Passiamo al secondo aspetto, la conversione. Il Battista la predicava senza sosta e con toni veementi (cfr Lc 3,7). Anche questa è una tematica “scomoda”. Come il deserto non è il primo luogo nel quale vorremmo andare, così l’invito alla conversione non è certamente la prima proposta che vorremmo sentire. Parlare di conversione può suscitare tristezza; ci sembra difficile da conciliare con il Vangelo della gioia. Ma questo succede quando la conversione viene ridotta a uno sforzo morale, quasi fosse solo un frutto del nostro impegno. Il problema sta proprio qui, nel basare tutto sulle nostre forze. Questo non va! Qui si annidano pure la tristezza spirituale e la frustrazione: vorremmo convertirci, essere migliori, superare i nostri difetti, cambiare, ma sentiamo di non esserne pienamente in grado e, nonostante la buona volontà, ricadiamo sempre. Proviamo la stessa esperienza di San Paolo che, proprio da queste terre, scriveva: «In me c’è il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio» (Rm 7,18-19). Se dunque, da soli, non abbiamo la capacità di fare il bene che vorremmo, che cosa significa che dobbiamo convertirci?

Ci può venire in aiuto la vostra bella lingua, il greco, con l’etimologia del verbo evangelico “convertirsi”, metanoéin. È composto dalla preposizione metá, che qui significa oltre, e dal verbo noéin, che vuol dire pensare. Convertirsi è allora pensare oltre, cioè andare oltre il modo abituale di pensare, al di là dei nostri soliti schemi mentali. Penso proprio agli schemi che riducono tutto al nostro io, alla nostra pretesa di autosufficienza. O a quelli chiusi dalla rigidità e dalla paura che paralizzano, dalla tentazione del “si è sempre fatto così, perché cambiare?”, dall’idea che i deserti della vita siano luoghi di morte e non della presenza di Dio.

Esortandoci alla conversione, Giovanni ci invita ad andare oltre e a non fermarci qui; ad andare al di là di quello che i nostri istinti ci dicono e i nostri pensieri fotografano, perché la realtà è più grande: è più grande dei nostri istinti, dei nostri pensieri. La realtà è che Dio è più grande. Convertirsi, allora, significa non dare ascolto a ciò che affossa la speranza, a chi ripete che nella vita non cambierà mai nulla – i pessimisti di sempre. È rifiutare di credere che siamo destinati ad affondare nelle sabbie mobili della mediocrità. È non arrendersi ai fantasmi interiori, che si presentano soprattutto nei momenti di prova per scoraggiarci e dirci che non ce la faremo, che tutto va male e che diventare santi non fa per noi. Non è così, perché c’è Dio. Bisogna fidarsi di Lui, perché è Lui il nostro oltre, la nostra forza. Tutto cambia se si lascia a Lui il primo posto. Ecco la conversione: al Signore basta la nostra porta aperta per entrare e fare meraviglie, come gli sono bastati un deserto e le parole di Giovanni per venire nel mondo. Non chiede di più.

Chiediamo la grazia di credere che con Dio le cose cambiano, che Lui guarisce le nostre paure, risana le nostre ferite, trasforma i luoghi aridi in sorgenti d’acqua. Chiediamo la grazia della speranza. Perché è la speranza che rianima la fede e riaccende la carità. Perché è di speranza che i deserti del mondo sono assetati oggi. E mentre questo nostro incontro ci rinnova nella speranza e nella gioia di Gesù, e io gioisco stando con voi, chiediamo alla nostra Madre, la Tuttasanta, che ci aiuti a essere, come lei, testimoni di speranza, seminatori di gioia intorno a noi – la speranza, fratelli e sorelle, non delude, non delude mai –. Non solo quando siamo contenti e stiamo insieme, ma ogni giorno, nei deserti che abitiamo. Perché è lì che, con la grazia di Dio, la nostra vita è chiamata a convertirsi. Lì, nei tanti deserti nostri interni o dell’ambiente, lì la vita è chiamata a fiorire. Che il Signore ci dia la grazia e il coraggio di accogliere questa verità.

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Saluto finale 
al termine della Messa

Cari fratelli e sorelle,

al termine di questa celebrazione, desidero esprimere la mia gratitudine per l’accoglienza che ho ricevuto in mezzo a voi. Grazie di cuore! Efcharistó! [Grazie!].

Dalla lingua greca è venuta per tutta la Chiesa questa parola che riassume il dono di Cristo: Eucaristia. E così per noi cristiani il ringraziamento è inscritto nel cuore della fede e della vita. Che lo Spirito Santo possa fare di tutto il nostro essere e agire un’Eucaristia, un rendimento di grazie a Dio e un dono d’amore ai fratelli.

In questo contesto, rinnovo la mia sentita riconoscenza alle Autorità civili, alla Signora Presidente della Repubblica, qui presente, e ai fratelli Vescovi, come pure a tutti coloro che in diversi modi hanno collaborato a preparare e organizzare questa visita. Grazie a tutti! E grazie al coro che ci ha aiutato a pregare tanto bene.

Domani lascerò la Grecia, ma non lascerò voi! Vi porterò con me, nella memoria e nella preghiera. E anche voi, per favore, continuate a pregare per me. Grazie!

Papa Francesco
5 dicembre 2021
Atene





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Letture della Messa

Prima Lettura 
Dal Libro del Profeta Baruc 
(5,1-9)

Deponi, o Gerusalemme, la veste del lutto e dell'afflizione, rivèstiti dello splendore della gloria che ti viene da Dio per sempre. Avvolgiti nel manto della giustizia di Dio, metti sul capo il diadema di gloria dell'Eterno, perché Dio mostrerà il tuo splendore ad ogni creatura sotto il cielo. Sarai chiamata da Dio per sempre: Pace della giustizia e gloria della pietà. Sorgi, o Gerusalemme, e stà in piedi sull'altura e guarda verso oriente; vedi i tuoi figli riuniti da occidente ad oriente, alla parola del Santo, esultanti perché Dio si è ricordato di loro. 
Si sono allontanati da te a piedi, incalzati dai nemici; ora Dio te li riconduce in trionfo come sopra un trono regale. Poiché Dio ha stabilito di spianare ogni alta montagna e le rupi secolari, di colmare le valli e spianare la terra perché Israele proceda sicuro sotto la gloria di Dio. Anche le selve e ogni albero odoroso faranno ombra ad Israele per comando di Dio. Perché Dio ricondurrà Israele con gioia alla luce della sua gloria, con la misericordia e la giustizia che vengono da lui.

Seconda Lettura 
Dalla Lettera di San Paolo Apostolo ai Filippesi (1,4-6.8-11)

Pregando sempre con gioia per voi in ogni mia preghiera, a motivo della vostra cooperazione alla diffusione del vangelo dal primo giorno fino al presente, e sono persuaso che colui che ha iniziato in voi quest'opera buona, la porterà a compimento fino al giorno di Cristo Gesù. Infatti Dio mi è testimonio del profondo affetto che ho per tutti voi nell'amore di Cristo Gesù. E perciò prego che la vostra carità si arricchisca sempre più in conoscenza e in ogni genere di discernimento, perché possiate distinguere sempre il meglio ed essere integri e irreprensibili per il giorno di Cristo, ricolmi di quei frutti di giustizia che si ottengono per mezzo di Gesù Cristo, a gloria e lode di Dio.

Vangelo Seconda domenica 
di Avvento 2021

Dal Vangelo secondo Luca 
(3,1-6)

Nell'anno decimoquinto dell'impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetrarca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetrarca dell'Iturèa e della Traconìtide, e Lisània tetrarca dell'Abilène, sotto i sommi sacerdoti Anna e Caifa, la parola di Dio scese su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto. Ed egli percorse tutta la regione del Giordano, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati, com'è scritto nel libro degli oracoli del profeta Isaia: Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri! Ogni burrone sia riempito, ogni monte e ogni colle sia abbassato; i passi tortuosi siano diritti; i luoghi impervi spianati. Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!



Nota. Papa Francesco ha evidenziato un significato di metánoia che solitamente non viene citato quando si parla di conversione.

Dal sito Garzanti Linguistica (garzantilinguistica.it)
Etimologia: ← dal gr. metánoia, deriv. di metanoêin ‘cambiare modo di pensare’, comp. di metá, che indica mutamento o superamento, e noêin ‘pensare’.
In pratica il Papa si è riferito al significato meno noto: superare, andare oltre, pensare "oltre".

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