Pandemia Covid-19. Perché l'accettare che i "vecchi" (e i deboli) siano sacrificati all'obiettivo della cosiddetta "vita normale" distruggerà la tua vita normale
È filosofia spicciola, davvero qualcosa "for dummies"... Eppure pochi sembrano comprenderla. Questa filosofia semplice è diventata drammaticamente reale (quanto invisibile) con l'epidemia di Covid 19.
Nota: questo post NON tratta di morale cristiana, ma soltanto di filosofia del reale, per così dire.
Credo che sia innegabile, fin dall'inizio della pandemia, che il retropensiero strisciante tendeva ad essere: "vabbè, il morto era vecchio ed ammalato, pazienza" - e già questo trend costituirebbe di per sé un grande problema, ma forse non era ancora così evidente nella sua "sistematicità" e nella sua ripercussione reale sull'intera società.
Attualmente siamo arrivati alla seconda o anche terza (o anche quarta) fase del problema, una fase nella quale si tende (in modo implicito) ad affermare che dobbiamo accettare serenamente (come necessario effetto collaterale) una certa percentuale di morti, vecchi e/o deboli, se vogliamo "andare avanti" con la nostra vita normale di "persone normali".
⏩ [Disclaimer: il mio discorso non è contro la riapertura di qualche attività commerciale o cose del genere. Sto facendo un altro discorso, più completo. Continua a leggere e capirai cosa voglio dire] ⏩
Ma non è questo il punto che voglio sottolineare, sebbene possa diventare importante anche questo fatto da un punto di vista sociale ed economico [cioè: se i soggetti trentenni e quarantenni cominciano a cadere come pere, ad un certo punto l'economia può comunque subire gravi contraccolpi (tra lavoratori ammalati e colleghi quarantenati), a meno che non si riescano a produrre sempre nuovi vaccini ad una velocità supersonica, e ad iniettarli alla gente con altrettanta velocità, probabilmente rendendo necessaria l'obbligatorietà della vaccinazione periodica - cosa non proprio simpaticissima se diventa una pre-condizione per ottenere un lavoro qualsiasi].
Però, appunto, oggi intendevo portare l'attenzione su qualcosa di molto più semplice:
dunque, ipotizziamo che io - per motivi miei personali oppure per continue spinte sociali - mi senta autorizzata (nonché contenta e soddisfatta dell'autorizzazione) a fregarmene dei più vecchi e dei più deboli. Dopotutto, questo facile passaggio consente ai "più giovani" di condurre una vita sociale "normale" e quant'altro si desideri.
Ok. Tutto bene. Anche perché - come mi si dice quotidianamente in tivù - io dovrei considerare il fatto che "non ci sono solo i soggetti anziani e/o i soggetti deboli di salute", ma ci sono anche altrettanti soggetti che - psicologicamente - non reggono più la situazione delle misure anti-epidemia, le limitazioni alla vita sociale, eccetera. Ogni giorno si insiste sul fatto che tanta gente non ce la fa più, tanta gente è esaurita, tanta gente soffre (psicologicamente) e arriva addirittura ai pensieri suicidi. Nota: questa cosa dei suicidi e dei giovani autolesionisti, oppure che si ammalano di anoressia è vera. È verissima. Non ho certo intenzione di negarla. È un dato di fatto. (e io accetto i dati di fatto).
Però, ecco: adesso qualcuno dovrebbe spiegarmi, se già io me ne frego dei vecchi e dei fragili di salute fisica, PERCHÉ io non possa fregarmene anche di quelli che hanno le fragilità psicologiche. Dopotutto si può affermare che, anche dal punto di vista psicologico, soltanto i più forti sopravviveranno alla pandemia. Ed è di quelli che abbiamo bisogno, no? Forti nel fisico e forti nella mente. Dei deboli possiamo fare serenamente a meno. Giusto?
Insomma, perché un cittadino dovrebbe impegnarsi (e accettare perfino che si incida sulla spesa pubblica) per mantenere una massa di gente debole nel corpo o nella mente?
È proprio una mentalità che si instaura, volenti o nolenti: se si considera secondaria la vita di un anziano affetto da patologie fisiche, perché si dovrebbe considerare importante la vita di un giovane affetto da patologie psicologiche e psichiatriche? Prima o poi, il ragazzetto farà la fine del vecchietto, nel senso che arriverà il giorno in cui si dovrà "passare sopra" anche ai ragazzini deboli e poco produttivi.
Questo pensierino (sull'eliminazione dei deboli) mi ricorda qualcosa... Chissà perché.
Ma andiamo oltre.
Proseguendo con questa filosofia, ancora di più (perché no?), tale ragionamento potrebbe arrivare alle categorie economiche e alle imprese.
Ricapitoliamo: se io mi sento autorizzata - dalla società e dalle istituzioni - a fregarmene degli anziani, dei deboli nel fisico e dei deboli nella mente... Perché non posso fregarmene anche di quelli che non sono stati in grado di costruire patrimoni aziendali (o personali) che possano reggere a 2-3 anni di "fermo" e a qualche annetto di ristrutturazione / riconversione della propria attività economica secondo i nuovi parametri post-pandemia?
Insomma, se io sono a posto e se io posso cavarmela economicamente, perché dovrei preoccuparmi di chi non ha saputo fare un business plan a prova di bomba? Dopotutto, è risaputo: nelle crisi economiche c'è sempre chi fallisce e chi ne viene fuori più ricco e più organizzato di prima. Giusto?
Ed eccoci al punto: con tali ragionamenti si può arrivare molto lontano, ma più che altro si arriva alla distruzione di tutto. Oppure, per dirla in altre parole: si arriva a trovarsi incastrati in qualcosa che assomiglia molto allo schiavismo (cioè una società schiavizzata in ogni suo settore).
Intendiamoci: tale filosofia ha guidato la nostra società negli ultimi decenni di storia, come minimo. Non è affatto una novità emersa da questa pandemia. È solo che prima non si poteva osservare così bene come si osserva adesso...
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Il mio pensiero di oggi non vuole offrire facili soluzioni né panacee, e tantomeno vuole puntare un dito moralizzatore. Assolutamente no.
Io so solo una cosa: se tu oggi te ne freghi dei vecchi, verrà presto il giorno in cui te ne fregherai di tutti quanti, a parte te stesso / te stessa. Ed è bene che tu veda la faccenda anche nella seguente prospettiva: se tu oggi te ne freghi dei vecchi e degli ammalati, domani qualcuno se ne fregherà del tuo personalissimo problema (psicologico? Economico? È comunque un tuo problema e te lo dovrai smazzare da solo). Giungla.
Il che è esattamente quello che accade oggi nella nostra società, nella maggior parte dell'Europa e del mondo.
Obiezioni: "ma no dai!, esistono un sacco di gruppi solidali, esiste tanta gente che si associa perché ha la stessa malattia oppure lo stesso problema economico".
Sì, è vero: anche oggi ci sono i feudi, le tribù, eccetera - che di solito si combattono tra loro per guadagnare terreno sugli altri, oppure per conquistarsi un qualche diritto elementare relativo al proprio campetto d'azione. E (giusto per non apparire troppo pessimista) riconosco anche, fuori dalle logiche tribali e feudali, che ci sono tante ottime e lodevoli associazioni dedite "al bene" in vari campi.
(si trova di sicuro in tanti bei discorsi, in tanti bla bla, in tanti programmi teorici, molto teorici).
Riusciremo a cambiare? Riusciremo ad uscire migliori da questa pandemia? Punto di domanda.
l'applicazione pratica di Fede e Cultura cattolica in tutti gli ambiti del quotidiano. Perché secondo me è l'unica via che ha una possibilità di radicamento profondo di determinati valori nella persona e nella società (e non soltanto un momentaneo superficiale make-up di "buoni sentimenti"). Il problema è che - oggi - questa proposta può riguardare seriamente soltanto una piccola minoranza di persone. Mentre le questioni fondamentali della vita riguardano tutti, e questi "tutti" sono... in forte permanente disaccordo. Feudi, tribù, partiti politici, economici, e così via...]
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