La strana cosa che si chiama cristianesimo

Scritto nel 1908 in Inghilterra.
Cioè oltre cento anni fa. 

[alla fine del post troverai tutte le informazioni sull'autore e sul libro dal quale sono tratti questi brani scelti. 
Mia libera e personale traduzione dall'inglese, anche con l'aiuto di alcune traduzioni italiane ufficiali. 
Domanda: perché non ho pubblicato una traduzione ufficiale? 
Per 2 importanti motivi: 1) per non rischiare di ledere diritti d'autore, vista la lunghezza dei testi pubblicati; 
2) per rendere alcuni passaggi più aderenti alla lingua italiana corrente, evitando un certo linguaggio "alto" che senza dubbio restituisce bene lo stile dell'autore inglese ma a volte può risultare quasi incomprensibile a tanti lettori di oggi].

Buona lettura
💙💛💜

Quello che ci disturba in questo mondo non è che sia un mondo irragionevole e nemmeno che sia ragionevole; 
quello che generalmente ci disturba è che sia un mondo quasi ragionevole, 
ma non completamente.
La vita non è illogica; e pure, è un trabocchetto per i logici. 
Sembra appena un poco più matematica e regolare di quel che non sia; 
la sua esattezza è ovvia, la sua inesattezza è latente; 
la sua originale irregolarità è come in agguato.
Do un esempio grossolano di ciò che voglio dire: supponete che qualche matematico venga dalla luna a fare dei calcoli sul corpo umano: egli vedrebbe subito che l'essenziale caratteristica dell'uomo  è di essere duplice: un uomo è due uomini, dei quali quello di destra somiglia esattamente a quello di sinistra. Visto che c’è un braccio a destra e uno a sinistra, una gamba a destra e una a sinistra, il matematico potrebbe andare più in là e troverebbe ancora da entrambe le parti lo stesso numero di dita e poi due occhi, due orecchi, due narici e perfino due lobi cerebrali. 
A quel punto, prenderebbe questa come una legge e, trovando un cuore da una parte, ne dedurrebbe che c’è un altro cuore dall’altra. E proprio allora, quando egli si crederebbe sicuro di aver ragione, avrebbe torto.
È questa silenziosa deviazione di un centimetro dalla precisione che è l'elemento inquietante in ogni cosa. Sembra una sorta di tradimento segreto nell'universo.

(...)

Ora è questo che io propongo si dovrebbe dire del cristianesimo: 
non pure che deduce verità logiche, ma che se talora diventa illogico significa che ha trovato – diciamo così – una verità illogica. 
Non solo va dritto nelle cose, ma va di traverso (se così si può dire) quando le cose vanno di traverso. Il suo piano segue le irregolarità segrete e aspetta l’inaspettato. È semplice intorno alle verità semplici. È ostinato intorno alle verità sottili. Ammetterà che un uomo ha due mani; ma non ammetterà (sebbene i moderni lo deplorino) l'apparente deduzione ovvia che egli abbia due cuori. 

Mio solo scopo di questo capitolo è di mettere in rilievo ciò: di mostrare che ogni qualvolta nella teologia cristiana c’è qualche cosa di strano, troveremo che c'è qualche cosa di strano nella verità.

(...)

Dal momento che uno accetta un credo, deve essere orgoglioso della sua complessità come gli scienziati sono orgogliosi della complessità della scienza: ciò ne mette in rilievo la ricchezza. 
Se tutto è esatto, è un vanto poter dire che è elaboratamente esatto. Un bastone può turare un buco e una pietra può turare una fossa, per fortuita combinazione; ma una chiave e una toppa sono più complicate, e se una chiave gira nella toppa vuol dire che è la chiave buona.

(...)

Se si domanda a bruciapelo a una persona di intelligenza comune: 
«Perché preferisci la civiltà alla barbarie?», egli, come smarrito, guarderà intorno oggetto per oggetto, 
e riuscirà soltanto a rispondere vagamente: «Perché c’è lo scaffale dei libri e il carbone nel secchio del carbone… e il pianoforte… e i poliziotti». 
Tutta la questione della civiltà è una questione complicata. Essa ha fatto molte cose; ma quella stessa molteplicità di prove che dovrebbe rendere la risposta schiacciante, la rende invece impossibile.

(...)

Tutto quanto avevo appreso in giovinezza di teologia cristiana, me ne aveva solo allontanato: a dodici anni ero pagano, a sedici anni un completo agnostico, e non riesco a capire come uno possa oltrepassare l’età di diciassette anni senza essersi posto un problema tanto evidente. 
Conservai sempre, però, un oscuro rispetto per una divinità cosmica e un grande interesse storico per il fondatore del Cristianesimo; certo, lo considerai come uomo, sebbene forse pensassi che, anche su questo punto, Egli aveva un vantaggio su alcuni dei suoi moderni critici. Lessi tutta la letteratura scientifica e scettica del mio tempo - almeno tutta quella che potei trovare scritta in inglese e a portata di mano; 
e non lessi nient’altro: voglio dire nient’altro che seguisse un altro indirizzo filosofico…
Non avevo letto mai una riga di apologetica cristiana; anche oggi ne leggo il meno possibile. 
Furono Huxley, Herbert Spencer e Bradlaugh, che mi ricondussero alla teologia ortodossa: essi seminarono nel mio spirito i primi forti dubbi sul dubbio. 
Le nostre nonne avevano pienamente ragione quando dicevano che Tom Paine e i “liberi pensatori” ci sconvolgevano la mente. Era vero. La mia, la sconvolsero in modo orribile. Il razionalista mi costringeva a chiedermi se la ragione servisse ancora a qualche cosa: finito che ebbi di leggere Spencer, arrivai a dubitare (per la prima volta) che l’evoluzione si fosse mai verificata. E quando posai l’ultima delle conferenze atee del colonnello Ingersoll, un pauroso pensiero mi attraversò la mente: “Quasi quasi mi persuade ad esser cristiano”. Ero sulla via della disperazione.

Questo strano effetto dei grandi agnostici di suscitare dubbi ancora più profondi del loro stesso dubbio potrebbe essere illustrato in parecchi modi. 
Ne prendo uno: quando lessi e rilessi tutto quel che di non-cristiano e di anti-cristiano era stato scritto sulla fede, da Huxley a Bradlaugh, un’idea lenta e tenace s’impresse gradualmente ma graficamente nel mio cervello: 
l’idea che il cristianesimo doveva essere una cosa molto fuori dall'ordinario, poiché non solo (a quanto io capivo) il cristianesimo aveva i più fiammeggianti vizi, ma evidentemente aveva anche avuto il mistico talento di combinare insieme vizi che parevano incompatibili l’uno con l’altro.

Il cristianesimo era attaccato da tutte le parti e per motivi tutti contraddittori. Un razionalista aveva appena dimostrato che era troppo a levante e subito un altro dimostrava con altrettanta chiarezza che era ancora di più a ponente. 
Non prima che si fosse calmata la mia indignazione per la sua aggressiva spigolosa quadratura mi si chiamava a notare e a condannare la sua snervante soffice rotondità. 

Se qualche lettore non avesse mai fatto l’esperienza che sto raccontando, ecco alcuni esempi, così come mi vengono in mente, di questa auto-contraddizione nella critica scettica. 
Ne darò quattro o cinque; ma ce ne sono altri cinquanta.

Ero stato colpito, per esempio, dall’eloquente attacco contro il Cristianesimo come qualcosa di una tristezza disumana, perché io pensavo (ed ancora penso) che il pessimismo quando è sincero sia un imperdonabile peccato. Il pessimismo insincero è un accomodamento sociale, piacevole anzi che no; e fortunatamente quasi tutto il pessimismo è insincero. 
Ma se il Cristianesimo era, come diceva questa gente, puramente pessimistico e opposto alla vita, ero preparato a scaraventarlo giù dalla Cattedrale di San Paolo. La cosa straordinaria era invece questa: che essi mi provavano nel Capitolo I (con mia completa soddisfazione) che il Cristianesimo era troppo pessimista; e poi nel Capitolo II cominciavano a dimostrarmi che era eccessivamente ottimista.

Un’accusa contro il Cristianesimo era che impediva agli uomini, con morbose lacrime e terrori, di cercare la gioia e la libertà nella Natura; ma un’altra accusa era che confortava gli uomini con una fittizia Provvidenza mettendoli come bambini in un asilo nido bianco e rosa: 
un grande agnostico chiedeva perché la Natura non potesse mostrare tutta la sua bellezza e perché ci fossero tanti ostacoli alla libertà; e un altro obiettava che l’ottimismo cristiano era una “veste illusoria tessuta da mani pietose” che ci nascondeva la bruttezza della Natura e l’impossibilità di essere liberi. 
Un razionalista non aveva finito di chiamare il Cristianesimo un incubo che un altro si metteva a chiamarlo il paradiso degli idioti. 
Ciò mi scompigliava le idee: le accuse sembravano incoerenti.

Il Cristianesimo non poteva essere al tempo stesso una maschera nera su un mondo bianco e una maschera bianca su un mondo nero. 
La condizione del cristiano non poteva essere tanto comoda da essere una codardìa il restarci aggrappato, 
e allo stesso tempo essere tanto scomoda da risultare una pazzia il sopportarla.
Se falsificava la visione umana, doveva falsificarla o per un verso o per l’altro: non poteva portare insieme gli occhiali verdi e gli occhiali color rosa. 
Io rimuginavo con terribile gioia, come tutti i giovani del mio tempo, l’insulto gridato dal poeta Swinburne contro l’aridità del Cristianesimo:
"Hai vinto, o pallido Nazareno,
sotto il soffio del tuo respiro il mondo è triste e grigio".

Ma quando lessi le descrizioni che lo stesso poeta ci dava del paganesimo (come in “Atalanta”) conclusi che il mondo era, se possibile, più triste prima del soffio del Nazareno che dopo. 
Il poeta sosteneva, del resto, che la vita è per sé stessa come nera pece. E tuttavia, in qualche modo, il Cristianesimo l’aveva resa più nera. Lo stesso uomo che denunciava il Cristianesimo per il suo pessimismo era egli stesso un pessimista.

Pensai che ci dovesse essere qualche cosa di sbagliato; e mi attraversò la mente il pensiero che, forse, non potevano essere i migliori giudici dei rapporti della religione con la felicità quelli che, per loro stessa dichiarazione, non avevano né l’una né l’altra. 
Beninteso, non conclusi frettolosamente che le accuse fossero false o gli accusatori idioti. 
Ho semplicemente dedotto che il Cristianesimo dovesse essere ancora più strano e cattivo di quanto lo dipingevano. 

Una cosa può anche avere due vizi opposti; ma deve essere, in tal caso, una cosa assai strana. Un uomo può essere troppo grasso in un punto e troppo magro in un altro punto, ma allora avrebbe una forma strana. Ad un certo momento mi si presentò al pensiero l’idea che la religione cristiana avesse una forma bizzarra; ma non attribuii la forma bizzarra al pensiero razionalistico.

Ecco un altro esempio della stessa specie. Sentivo che un forte argomento contro il Cristianesimo riposava sull’accusa che ci fosse qualche cosa di timido, di monacale, di non-virile in tutto ciò che si chiama “cristiano”, specialmente nel suo atteggiamento riguardo alla resistenza e alla combattività. 
I grandi scettici del diciannovesimo secolo furono in gran parte virili. Al loro confronto, pareva plausibile opporre che ci fosse qualche cosa di debole e di passivo nell’insegnamento cristiano.
Il paradosso del Vangelo riguardante "l'altra guancia", il fatto che i preti non hanno mai combattuto, e cento altre cose rendevano sostenibile l’accusa che il Cristianesimo fosse il tentativo di far diventare l’uomo simile a una pecora. Queste cose le avevo lette e le ho credute e, se non avessi letto altro, avrei continuato a crederle. 
Ma poi lessi qualche cosa di molto diverso: voltai la pagina del mio manuale agnostico e anche il mio cervello ne fu capovolto.
Ora trovavo che bisogna odiare il cristianesimo non perché è troppo poco battagliero, ma perché lo è troppo: 
il Cristianesimo (a quanto pareva) era il padre delle guerre; il Cristianesimo aveva fatto del mondo un lago di sangue. Ero appena andato in collera coi cristiani perché loro non erano stati mai in collera con nessuno; e adesso mi si diceva che dovevo essere in collera con i cristiani perché la loro collera era stata la più enorme e la più orribile di tutta la storia umana: perché la loro rabbia aveva inzuppato la terra e oscurato il sole. 
Le stesse persone che rimproveravano al Cristianesimo la mitezza e la non-resistenza dei monasteri erano le persone che ora gli rimproveravano il coraggio violento delle Crociate. 
I quaccheri pacifisti (ci veniva detto) erano i tipici esempi di cristiani; e tuttavia i massacri di Cromwell e Alva erano i tipici crimini cristiani. 
Cosa poteva significare tutto questo? Cos'era questo cristianesimo che aveva sempre proibito le guerre e aveva sempre fatto le guerre? 
Quale potrebbe essere la natura della cosa che si potrebbe condannare prima perché non combatteva mai, e poi perché combatteva sempre?
In quale mondo di enigmi erano nate questa mostruosa criminalità e questa mostruosa mitezza? 
La forma del Cristianesimo diventava sempre più strana ad ogni istante.

Prendo un terzo esempio; il più strano di tutti perché implica la sola reale obiezione alla fede. La sola reale obiezione alla religione cristiana è semplicemente il fatto che è una religione. 
Il mondo è grande, pieno di gente e popoli diversi; il Cristianesimo (si potrebbe ragionevolmente dire) è un fatto limitato principalmente ad una sola area del mondo: cominciò in Palestina, e si è praticamente fermato in Europa. Questo argomento quando ero giovane mi faceva la debita impressione, e mi sentivo molto attirato verso una dottrina spesso predicata nelle società etiche: la dottrina secondo la quale esiste una grande Chiesa inconscia di tutta l’umanità, fondata sull’onnipresenza della coscienza umana.
I credi, si diceva, dividono gli uomini; ma la coscienza morale li unisce. L'anima può andare a frugare nelle più remote terre ed epoche storiche, e troverà sempre un essenziale sentimento etico comune. Troverà sotto gli alberi di oriente Confucio che scrive “Tu non ruberai”; decifrerà i più oscuri geroglifici nel deserto e il loro significato sarà “I bambini non devono dire bugie”. 
Io credetti vera questa dottrina della fratellanza di tutti gli uomini nel possedere un unico sentimento morale, e la credo ancora - insieme ad altre cose.
Ed ero fortemente irritato verso il Cristianesimo perché suggeriva (come supponevo in quel momento) che intere età ed imperi sfuggissero totalmente a questa luce di giustizia e di ragione.

Ma poi ho trovato una cosa sorprendente: trovavo che quelli che dicevano che l’umanità era una sola chiesa da Platone fino a Emerson, erano gli stessi che sostenevano che la morale è sempre cambiata, e che quello che era vero in un’epoca era falso in un’altra. 
Se io cercavo, per esempio, un altare, mi si rispondeva che non ce n’è bisogno perché gli uomini nostri fratelli ci danno chiari oracoli ed una fede nelle loro universali consuetudini e idealità. 
Ma se timidamente osservavo che una delle universali consuetudini umane è quella di avere un altare, i miei maestri di agnosticismo rigiravano il discorso e dicevano che gli uomini sono sempre stati avvolti dalle tenebre superstiziose dei selvaggi.

Il loro insulto quotidiano al Cristianesimo era che, mentre era stato la luce di un popolo, aveva lasciato tutti gli altri nell’oscurità; senonché era anche loro particolare vanto che la scienza e il progresso erano le scoperte di un solo popolo e che tutti gli altri erano morti nell'oscurità. 
Quello che era un insulto per il cristianesimo doveva essere un  complimento per loro, e sembrava esserci una strana malafede nella loro insistenza su queste due cose.

Se si considerava un pagano o un agnostico, eravamo invitati a ricordare che tutti gli uomini hanno una religione; se invece si parlava di un mistico o di un uomo spirituale, eravamo invitati a considerare quali assurde religioni avevano certi uomini. 
Potevamo fidarci della morale di Epitteto perché la morale è sempre la stessa, però non dovevamo fidarci della morale di Bossuet perché la morale è cambiata. 
È cambiata in duecento anni, ma non in venti secoli. La cosa cominciava a diventare allarmante. 
Sembrava non tanto che il Cristianesimo fosse così cattivo da riunire in sé tutti i vizi, quanto piuttosto che qualsiasi bastone fosse buono per bastonare il Cristianesimo.
A cosa dunque somigliava questa cosa stupefacente che tanti erano così ansiosi di contraddire da non badare se, contraddicendola, contraddicevano se stessi? 
Da tutti i lati vidi la stessa cosa.

Non darò ulteriore spazio ai dettagli di questa discussione; ma affinché nessuno pensi che io abbia selezionato ingiustamente tre esempi casuali, ne analizzerò brevemente alcuni altri. 
Così, alcuni scettici hanno scritto che il grande crimine del cristianesimo era stato l'aver attaccato la famiglia perché aveva trascinato le donne nella solitudine e nella contemplazione del chiostro, lontane dalle loro case e dai loro figli. Ma poi, altri scettici (leggermente più avanzati) dissero che il grande crimine del cristianesimo era l'averci costretti al matrimonio e a metter su famiglia; il che condannava le donne al lavoro faticoso per la casa e per i figli, vietando loro la solitudine e la contemplazione. 

Ancora, gli anticristiani dicono che certe frasi delle Epistole o della Messa nuziale dimostrano il disprezzo per l’intelligenza della donna; senonché gli anticristiani stessi mostrano disprezzo per l’intelligenza della donna: quando dicono sogghignando che in chiesa nel Continente ci vanno solo le donne.

(...)

Nella stessa conversazione un mio amico libero pensatore accusava il Cristianesimo di disprezzare gli ebrei, e poi disprezzava lo stesso Cristianesimo perché era ebraico. 

(...)

Io volli esser giusto allora, come voglio esser giusto ora; perciò non conclusi che l’attacco al Cristianesimo fosse sbagliato. 
Conclusi soltanto che se il Cristianesimo era falso, era falso davvero. Tante ostili ripugnanze potrebbero anche essere presenti in una cosa sola, ma allora dev’essere una cosa veramente strana e singolare. 
Esistono degli avari che sono anche prodighi, ma sono rari; esistono dei sensuali ascetici, ma sono rari. 
Ma se realmente esiste questa massa di folli contraddizioni, quacchera e assetata di sangue, troppo sfarzosa e troppo misera, austera e assurdamente ostentata alla concupiscenza degli occhi, nemica delle donne e loro stupido rifugio, solenne pessimista e sciocca ottimista: se questo male esisteva davvero allora doveva esserci in questo male qualche cosa di assolutamente supremo e unico.

Non ho trovato nei miei maestri razionalisti nessuna spiegazione di una simile eccezionale corruzione. 
Il Cristianesimo (teoricamente parlando) non era ai loro occhi che uno degli ordinari miti ed errori dei mortali. 
Essi non mi davano la chiave di questa aggrovigliata e innaturale malvagità. 
Un tale paradosso di male raggiungeva la statura del soprannaturale: era quasi così soprannaturale come l’infallibilità del Papa. 
Una istituzione storica che non è mai andata bene sarebbe di certo tanto miracolosa quanto un’istituzione che non avesse mai sbagliato. La sola spiegazione che mi si presentava subito alla mente era che il Cristianesimo non venisse dal cielo ma dall’inferno. In realtà, se Gesù di Nazareth non era Cristo, doveva essere l’Anticristo.

E poi, un giorno, in un momento di tranquillità uno strano pensiero mi colpì come un fulmine quieto. All'improvviso mi era venuta in mente un'altra spiegazione. 
Supponiamo di aver sentito parlare di un uomo sconosciuto, da parte di molti uomini. Supponiamo di essere rimasti perplessi nel sentire che alcuni uomini hanno detto che era troppo alto e altri che era troppo basso; alcuni si opponevano alla sua grassezza, altri si lamentavano della sua magrezza; alcuni lo pensavano troppo scuro, e altri troppo biondo. Una spiegazione (come ho già detto) potrebbe essere che potrebbe trattarsi di un uomo con una forma molto strana. Ma c'è anche un'altra spiegazione: quella potrebbe essere la forma giusta. 
Così, gli uomini scandalosamente alti potrebbero trovarlo basso. Gli uomini molto bassi potrebbero trovarlo alto. I vecchi tozzi che stanno diventando troppo grassi potrebbero considerarlo insufficientemente nutrito; mentre i vecchi signorini troppo smagriti possono pensare che sia andato oltre le linee sottili dell'eleganza. Forse gli svedesi (che hanno i capelli chiari come la stoppa) lo chiamavano "scuro", mentre i neri lo consideravano indubbiamente biondo. Forse, in breve, questa cosa straordinaria è realmente la cosa ordinaria; o perlomeno la cosa normale: il centro. Forse, dopotutto, potrebbe essere che il cristianesimo è sano di mente, e i suoi critici sono fuori di testa - in vari modi. 
Ho cominciato a verificare questa mia idea chiedendomi se in qualcuno degli accusatori ci fosse qualcosa di morboso che potesse spiegare l'accusa. E fui sorpreso di trovare che la mia chiave entrava perfettamente nella toppa.

(...)

Tuttavia, pensavo, non poteva essere del tutto vero che il cristianesimo fosse soltanto ragionevole e che semplicemente si trovasse nel mezzo. 
C'era davvero in esso un elemento di enfasi e anche di frenesia, che giustificava in qualche modo i laicisti nella loro critica superficiale. 
Potrebbe sì trattarsi di una cosa saggia, ho cominciato sempre di più a pensare, ma non era semplicemente una saggezza di quelle mondane; il cristianesimo non era soltanto mite e rispettabile. 
I suoi feroci crociati e i suoi miti santi potevano certo bilanciarsi a vicenda; tuttavia, i crociati erano molto feroci e i santi erano molto miti, miti oltre ogni decenza. 
Ora, è stato proprio a questo punto del ragionamento che ho ricordato i miei pensieri sul martire e sul suicida. In quella faccenda c'era stata questa combinazione tra due posizioni quasi folli che tuttavia in qualche modo equivaleva a sanità mentale.
Questa era solo un'altra di quelle contraddizioni; e questo io avevo già scoperto essere vero. Questo era esattamente uno dei paradossi in cui gli scettici trovavano sbagliato il credo; mentre in questo io l'avevo trovato giusto.
L'idea era quella che avevo delineato spiegando l'ottimista e il pessimista: l'idea che noi non vogliamo un amalgama o un compromesso, ma vogliamo entrambe le cose al massimo della loro energia: amore e ira ardenti. 
Qui lo traccerò solo in relazione all'etica. Ma non ho bisogno di ricordare al lettore che l'idea di questa combinazione è davvero centrale nella teologia ortodossa. Poiché la teologia ortodossa ha insistito in particolare sul fatto che Cristo non era un essere separato da Dio e separato dall'uomo, come un elfo, e nemmeno un essere metà umano e metà no, come un centauro, ma entrambe le cose contemporaneamente ed entrambe le cose completamente, vero Dio e vero uomo. 
Ora lasciami tracciare questa nozione come l'ho trovata.

(...)

Il paganesimo dichiarava che la virtù stava in un equilibrio; il cristianesimo dichiarò che la virtù si trovava in un conflitto: lo scontro di due passioni apparentemente opposte. Ovviamente non erano realmente opposte, ma erano tali che era difficile tenerle insieme contemporaneamente. 
Seguiamo per un momento la traccia del martire e del suicida; e prendi il caso del coraggio. Nessuna qualità ha mai così tanto confuso i cervelli e aggrovigliato le definizioni dei saggi meramente razionali. Il coraggio è quasi una contraddizione in termini. Significa un forte desiderio di vivere che assume la forma di una prontezza a morire. 
"Chi perderà la vita, lo stesso la salverà", non è un pezzo di misticismo per santi ed eroi. È un consiglio quotidiano per marinai o alpinisti. Potrebbe essere stampato in una guida alpina o in un libro di esercizi.

(...)

Infine (cosa più importante di tutte) questo fatto spiega quel che della storia del Cristianesimo resta inesplicabile a tutti i critici moderni: voglio dire le mostruose guerre intorno a minuscole questioni di teologia, i terremoti emotivi per un gesto o per una parola. C’era la differenza di un pollice, ma un pollice è tutto, quando si tratta di raggiungere un equilibrio. 
La Chiesa non può sgarrare di un capello se deve continuare il suo grande e rischioso esperimento di irregolare equilibrio. Una volta lasciato che un’idea perda di potenza, un’altra idea diventerà troppo potente. Non è un gregge di pecore che il pastore cristiano deve guidare, ma un’orda di bufali e di tigri, di ideali terribili e di dottrine divoranti, ognuna abbastanza forte per trasformarsi in una falsa religione e devastare il mondo.
Non dimentichiamo che la Chiesa si affermò specificamente per le sue idee pericolose: fu una domatrice di leoni. L’idea della nascita dallo Spirito Santo, della morte di un essere divino, del perdono dei peccati, dell’adempimento delle profezie sono tutte idee che (ognuno lo comprende) basta un tocco per trasformarle in qualche cosa di blasfemo e di feroce.

(...)
Una frase erroneamente formulato sulla natura del simbolismo avrebbe distrutto tutte le più belle statue d’Europa; una svista nelle definizioni poteva arrestare tutte le danze, poteva far seccare tutti gli alberi di Natale e rompere tutte le uova di Pasqua. Le dottrine devono essere definite entro limiti rigorosi, anche perché l’uomo possa godere delle generali libertà umane. 
La Chiesa deve avere tutte le cure - se si vuole che il mondo possa continuare a rimanere serenamente incurante.
Questo è il sensazionale romanzo dell’ortodossia. Taluni hanno preso la stupida abitudine di parlare dell’ortodossia come di qualche cosa di pesante, di monotono e di sicuro. Non c’è, invece, niente di così pericoloso e di così emozionante come l’ortodossia; l’ortodossia è la saggezza, e l’esser saggi è più drammatico che l’esser pazzi: è l’equilibrio di un uomo dietro a cavalli che corrono a precipizio, e che pare si chini da una parte, e si spenzoli da quell’altra, e pure, in ogni atteggiamento, conserva la grazia della statuaria e la precisione dell’aritmetica.
La Chiesa nei primi tempi fu superba e veloce come un cavallo da guerra; ma è assolutamente antistorico dire che essa seguì puramente la facile via diritta di una idea - come un volgare fanatismo. Essa deviò a destra e a sinistra con tanta esattezza da evitare enormi ostacoli; lasciò da un lato la grande mole dell’arianesimo, dall’altro tutte le forze del mondo che volevano rendere il Cristianesimo troppo mondano, e un momento dopo troppo allontanato dal mondo.

La Chiesa ortodossa non scelse mai le strade battute, né accettò le convenzioni; non fu mai "rispettabile". Sarebbe stato facile accettare la potenza terrena degli ariani; sarebbe stato facile, nel calvinistico diciassettesimo secolo, cadere nel pozzo senza fondo della predestinazione.

È facile esser pazzi; è facile essere eretici; è sempre facile lasciare che un’epoca si metta alla testa di qualche cosa, difficile è conservare la propria testa; è sempre facile essere moderni, come è facile essere snob. Cadere in uno dei tanti trabocchetti dell’errore e dell’eccesso, che, da una moda all’altra, da una sètta all’altra, sono stati aperti lungo il cammino storico del Cristianesimo - questo sarebbe stato semplice.
È sempre semplice cadere: c’è un’infinità di angoli da cui si cade, e ce n’è uno soltanto sul quale si resta in piedi. Perdersi in un qualunque capriccio, dallo Gnosticismo alla Teosofia, sarebbe stato ovvio e banale. Ma averli evitati tutti è stata un'avventura vorticosa; e nella mia visione il carro celeste vola sfolgorante attraverso i secoli, mentre le opache eresie si contorcono prostrate, 
e la fiera primordiale verità oscilla ma resta in piedi.

G. K. Chesterton, Ortodossia, 1908

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Hai appena letto dei brani scelti e liberamente tradotti dal testo originale. 
Il libro in italiano (o in inglese) si trova nelle librerie, più facilmente online.
Molto utile in particolare il negozio distributista collegato alla Società Chestertoniana Italiana, vedi QUI (dalla Home Page vai sul logo di Pump Street, dal quale accedi al negozio online. Caldamente consigliato a tutti perché ci si possono trovare anche delle edizioni speciali, oltre a quelle normali).

Note per chi non conosce le opere di Chesterton:
- il termine ortodossia è usato sempre nel senso di ortodossia cattolica / pensiero cattolico ortodosso (segnatamente nel senso dell'ortodossia della Chiesa Cattolica Romana). Non si riferisce alle chiese ortodosse orientali.
- Chesterton nacque Protestante, diventò agnostico in gioventù, e poi cattolico. 
La maggioranza degli italiani lo conosce come autore e creatore di Padre Brown, il capostipite dei "preti investigatori", come il nostro don Matteo televisivo, per intenderci. Forse i più anziani si ricorderanno la serie televisiva italiana (in bianco e nero!) basata sui romanzi gialli di Chesterton, con protagonista l'attore Renato Rascel nella parte di Padre Brown appunto.

G.K. Chesterton è meno conosciuto dagli italiani come difensore della fede cristiana, simpatico e britannicamente umoristico, con il gusto del paradosso che riesce a mettere in luce la verità. 

La sua opera in questo senso è veramente enorme, gli archivi sono "strabordanti", e tanti suoi scritti sono ancora in attesa di essere tradotti.
Chesterton è stato un autore molto conosciuto ai suoi tempi, è stato citato da papi, da vescovi e cardinali, e lo è ancora (anche se difficilmente oggi un pubblico di ascoltatori italiani se ne accorge).


Un'altra simpatica citazione chestertoniana, sugli stessi argomenti di cui sopra:

"Non manca una specie di filisteo con la testa piena di segatura, il quale vorrebbe considerare il frate un mascalzone per la sua lascivia, e allo stesso tempo vorrebbe ritenerlo uno stolto per la sua castità"

G.K. Chesterton, La Chiesa Cattolica, dove tutte le verità si danno appuntamento, editrice Lindau, pag. 25

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