Armamenti nucleari: il magistero dei papi precedenti a Francesco

Chi mi legge sa che sono gravemente allergica alle divisioni "cattoliche" politiche-partitiche tra destra e sinistra, o centro-destra e centro-sinistra. Eccetera.
[leggi: per me si tratta di cattolici di facciata che praticano un "cristianesimo" falso e ipocrita strumentale alle loro ideologie].
In pratica: sono convinta che oggi sbagli gravemente (e che sia gravemente attestato su un atteggiamento anticristiano) chi afferma che il "vero cattolico" debba votare per questa o per quella parte politica - identificando la sinistra o la destra o il centro (o altri che gli paresse!) come "il solo voto possibile per il vero cattolico: quello del bravo credente che segue il Vangelo, mentre gli altri no!".

A tal proposito, di fronte alla scelta partitica, un'ottima indicazione di che cosa un cattolico sia tenuto a fare ce la fornisce don Andrea Lonardo, il quale chiarisce in un suo recente articolo che una persona credente deve poter votare liberamente senza la persecuzione assillante dei moralisti di turno (compresi i troppi preti che fanno i comizi sinistri o destri durante le omelie, imponendo nelle chiese la loro idea politica come se fosse Vangelo).
Vedi al link
http://www.gliscritti.it/blog/entry/5093
l'ottimo articolo di don Lonardo che chiarisce la "missione" del fedele cattolico di portare i valori cristiani nelle aree che necessitano di "correzione" all'interno dell'ambiente di cui fa parte, di destra o di sinistra, o di centro, di nord, di sud, di est o di ovest. (la frase sul nord-sud-ovest-est è mio umorismo per rendere l'idea).

Fatta questa necessaria premessa che mira ad inquadrate la riflessione sulle armi nucleari come argomento da affrontare innanzitutto da un punto di vista cristiano (e non da un punto di vista di uno schieramento politico)
riporto qui di seguito un ottimo articolo tradotto da Giovanni Marcotullio con un'intervista (in tema di storia della Chiesa) allo storico francese Christophe Dickès.
Il problema che è un po' esploso in questi giorni (appunto tra le varie fazioni pseudo-cattoliche destre/sinistre che impazzano in rete) riguarda infatti le recenti affermazioni di Papa Francesco sul nucleare, in particolare sugli armamenti
(mentre sulle centrali nucleari per la produzione di energia ad uso civile il Papa ha soltanto espresso un'opinione prudente, peraltro ben motivata e condivisibile, ma senza l'intenzione - almeno per il momento - di farne un paragrafo del Catechismo).

[Nota sui diritti d'autore: rimango a disposizione per l'eventuale immediata rimozione dell'articolo di Pinard Legry/ Dickès/ Marcotullio/ Aleteia se la presenza sul mio blog non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto]

Giovanni Marcotullio traduce dal francese per Aleteia (link QUI ) un articolo-intervista di Agnès Pinard Legry:



Per Christophe Dickès , storico, giornalista e autore di diverse opere (tra cui Vatican, Vérités et légendes  [Vaticano, verità e leggende], L’héritage de Benoît XVI [L’eredità di Benedetto XVI] e 12 papes qui ont bouleversé le monde [12 Papi che hanno cambiato il mondo]),
«è falso dire che Papa Francesco sia il primo pontefice romano a condannare la dissuasione nucleare». L’abbiamo intervistato.

A. P.-L.: Le dichiarazioni di Papa Francesco sul nucleare costituiscono una rottura rispetto ai precedenti papi?

Ch. D.: Non esiste davvero una simile rottura. Anzi, si tratta di continuità magisteriale. Anzitutto, l’arma atomica è inevitabilmente legata alla questione della guerra. Si cita sempre il discorso di Paolo VI (1963-1978) all’Onu, il 4 settembre 1965: «Non più la guerra, non più la guerra!», ma si dimentica quello di Pio XII (1939-1958) che, nel suo radiomessaggio di Natale del 1944, esclamò «Guerra alla guerra!». Ora, negli anni ’50 fu lo stesso Pio XII ad alludere ad armi

"atte a provocare « per l’intiero nostro pianeta una pericolosa catastrofe » (Acta Ap. Sedis, 1943, pag. 75), a portare il totale sterminio di ogni vita animale e vegetale e di tutte le opere umane su regioni sempre più vaste; armi capaci ormai, con isotopi artificiali radioattivi di lunga vita media, d’inquinare in modo duraturo l’atmosfera, il terreno, gli oceani stessi, anche assai lungi dalle zone direttamente colpite e contaminate dalle esplosioni nucleari. Così dinanzi agli occhi del mondo atterrito sta la previsione di distruzioni gigantesche, di estesi territori resi inabitabili e non utilizzabili per l’uomo, oltre alle conseguenze biologiche che possono prodursi, sia per mutazioni indotte in germi e microrganismi, sia per l’incerto esito che un prolungato stimolo radioattivo può avere sugli organismi maggiori, compreso l’uomo, e sulla loro discendenza. Al qual proposito non vorremmo omettere di accennare al pericolo che per le future generazioni potrebbe rappresentare l’intervento mutageno, ottenibile o forse già ottenuto coi nuovi mezzi, per deviare dal naturale sviluppo il patrimonio dei fattori ereditari dell’uomo; anche perché fra tali deviazioni probabilmente non mancano o non mancherebbero quelle mutazioni patogene, che sono la causa delle malattie trasmissibili e delle mostruosità."

Lo stesso Papa Pacelli estese la sua condanna alle guerre batteriologiche e chimiche, e nel 1955 aggiunse questo terribile monito:

"Ecco pertanto lo spettacolo che si offrirebbe allo sguardo atterrito in conseguenza di tale uso: intere città, anche fra le più grandi e ricche di storia e di arte, annientate; una nera coltre di morte sulle polverizzate materie, che coprono innumerevoli vittime dalle membra bruciate, contorte, disperse, mentre altre gemono negli spasimi dell’agonia. Frattanto lo spettro della nube radioattiva impedisce ogni pietoso soccorso ai sopravvissuti e si avanza inesorabile a sopprimere le superstiti vite. Non vi sarà alcun grido di vittoria, ma soltanto l’inconsolabile pianto della umanità, che desolatamente contemplerà la catastrofe dovuta alla sua stessa follia."

Sul piano del diritto, siamo in un periodo in cui la stessa teoria della guerra giusta, che si radica nell’opera di sant’Agostino, viene rimessa in discussione. Il simbolo di questa revisione si trova nell’opera del grande giurista Alfredo Ottaviani. Infatti nell’edizione del 1936 del suo manuale di diritto ecclesiastico, il futuro cardinale riprese la teoria classica della guerra giusta. All’indomani della seconda guerra mondiale, però, rivide radicalmente la propria opinione e scrisse che non esiste più, oggi, una guerra giusta, tale da permettere a uno Stato di sferrare un attacco per tutelare i suoi diritti, e che insomma non sarà mai lecito dichiarare guerra (cf. Alfredo Ottaviani, Institutiones iuris publici ecclesiastici, I,151-155). Per lui, le tecniche belliche e le loro inusitate potenzialità distruttrici rendono quasi illegale la guerra, perfino difensiva [Ottaviani giunse a ritenere appena la liceità della guerra difensiva, N.d.T./R]

La condanna della guerra nucleare è ripetuta dai Padri del Concilio Vaticano II.
In Gaudium et Spes essi dichiarano:

"Ogni atto di guerra, che mira indiscriminatamente alla distruzione di intere città o di vaste regioni e dei loro abitanti, è delitto contro Dio e contro la stessa umanità e va condannato con fermezza e senza esitazione.
Il rischio caratteristico della guerra moderna consiste nel fatto che essa offre quasi l’occasione a coloro che posseggono le più moderne armi scientifiche di compiere tali delitti e, per una certa inesorabile concatenazione, può sospingere le volontà degli uomini alle più atroci decisioni. Affinché dunque non debba mai più accadere questo in futuro, i vescovi di tutto il mondo, ora riuniti, scongiurano tutti, in modo particolare i governanti e i supremi comandanti militari a voler continuamente considerare, davanti a Dio e davanti alla umanità intera, l’enorme peso della loro responsabilità."
Gaudium et Spes 80

Sul piano giuridico, essi ritengono che l’uso dell’arma nucleare non rispetti il principio di proporzionalità.
In effetti, nella propria concezione della guerra giusta, la Chiesa difendeva l’idea che i mezzi disposti nel corso di un conflitto fossero proporzionali a quelli dell’attacco.




Prosegue l'intervista:

A. P.-L.: La Guerra Fredda avrebbe modificato questa percezione?

Ch. D.: È vero che Giovanni Paolo II sfumò le prospettive nel contesto della sua lotta contro il comunismo e per riguardo ai vincoli stretti con l’amministrazione americana. Come sottolineava il compianto Christian Malis, geopolitico, il papa polacco giudicò una dissuasione «fondata sull’equilibrio» come «moralmente accettabile» a condizione di vedervi «una tappa sulla via di un disarmo progressivo». Siamo nel 1982. Solo un anno dopo, il Papa avrebbe scritto il messaggio pubblicato per la Giornata Mondiale della Pace all’inizio del 1984:

"Più degli altri, essi [i capi di Stato, N.d.R.] devono esser convinti che la guerra è in sé irrazionale, e che il principio etico del regolamento pacifico dei conflitti è la sola via degna dell’uomo. Certamente, occorre prendere in considerazione la presenza massiccia della violenza nella storia umana. È il senso della realtà al servizio della preoccupazione fondamentale della giustizia che impone il mantenimento del principio di legittima difesa in una tale storia. Ma i rischi spaventosi delle armi di distruzione massiccia devono condurre all’elaborazione di processi di cooperazione e di disarmo che rendano la guerra praticamente impensabile. Bisogna «guadagnare» la pace. A maggior ragione la coscienza dei responsabili politici deve loro interdire di lasciarsi coinvolgere in avventure pericolose, in cui la passione prevale sulla giustizia, di sacrificarvi inutilmente la vita dei propri concittadini, di attizzare i conflitti presso gli altri, di prender pretesto dalla precarietà della pace in una regione per estendere la propria egemonia in nuovi territori. Questi dirigenti devono pesare tutto ciò nella loro anima e coscienza e bandire il machiavellismo; ne renderanno conto ai loro popoli e a Dio."

Infine, egli ha confermato la condanna della corsa all’armamento, laddove gli attori internazionali cominciavano a prendere iniziative col fine di limitarla. A tal riguardo, mons. Dupuy ha raccolto i differenti interventi della Santa Sede volti a porre un termine alla proliferazione delle armi convenzionali.

A. P.-L.: Questo sguardo s’è evoluto all’indomani della Guerra Fredda?

Ch. D.: Sì, senza alcun dubbio. All’indomani della Guerra Fredda la Santa Sede, mediante il suo osservatore permanente all’Onu, l’allora mons. Renato Raffaele Martino, condannò la dissuasione nucleare:

"L’idea che la strategia di dissuasione nucleare sia essenziale alla sicurezza di una nazione è la presunzione più pericolosa che si sia trasmessa dal periodo precedente a questo nuovo periodo. Mantenere la dissuasione nucleare fino al XXI secolo impedirà la pace molto più di quanto non la favorirà… Essa è un ostacolo fondamentale all’avvento di un nuovo periodo di sicurezza globale."

Era il 25 ottobre 1993
[il testo dovette essere pronunciato in inglese o in francese, e purtroppo non ne resta traccia sul sito della Santa Sede: Aggiornamenti Sociali ne conserva invece una retroversione italiana, N.d.T]

Stessa musica con mons. Migliore nel 2005, qualche settimana prima del messaggio di Benedetto XVI [il primo in assoluto per Papa Ratzinger, N.d.T.] sul medesimo argomento, il 1o gennaio 2006:

"Ci sono situazioni in cui il conflitto, che cova come fuoco sotto la cenere, può nuovamente divampare causando distruzioni di imprevedibile vastità. Le autorità che, invece di porre in atto quanto è in loro potere per promuovere efficacemente la pace, fomentano nei cittadini sentimenti di ostilità verso altre nazioni, si caricano di una gravissima responsabilità: mettono a repentaglio, in regioni particolarmente a rischio, i delicati equilibri raggiunti a prezzo di faticosi negoziati, contribuendo a rendere così più insicuro e nebuloso il futuro dell’umanità. Che dire poi dei governi che contano sulle armi nucleari per garantire la sicurezza dei loro Paesi? Insieme ad innumerevoli persone di buona volontà, si può affermare che tale prospettiva, oltre che essere funesta, è del tutto fallace. In una guerra nucleare non vi sarebbero, infatti, dei vincitori, ma solo delle vittime. La verità della pace richiede che tutti — sia i governi che in modo dichiarato o occulto possiedono armi nucleari, sia quelli che intendono procurarsele —, invertano congiuntamente la rotta con scelte chiare e ferme, orientandosi verso un progressivo e concordato disarmo nucleare. Le risorse in tal modo risparmiate potranno essere impiegate in progetti di sviluppo a vantaggio di tutti gli abitanti e, in primo luogo, dei più poveri."

È dunque falso dire che Papa Francesco sia il primo a condannare la dissuasione nucleare, tutt’altro. E anzi [se si ripensa al sopra ricordato messaggio Urbi et Orbi del 18 aprile 1954, N.d.T.], non è neppure vero che egli sia il primo a scagliarsi contro l’oggetto stesso – l’arma atomica – piuttosto che contro la guerra atomica. Dalla Guerra Fredda alla “Guerra Mondiale a pezzi”, per riprendere la sua espressione, il contesto e le minacce cambiano ma la dottrina sociale della Chiesa resta costante [cf. a tal proposito il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa Cattolica al n. 508, N.d.R.].

A. P.-L.: È compito di un Papa pronunciarsi sull’utilizzo dell’energia atomica?

Ch. D.: Sì, senza alcun dubbio. Da secoli, ma soprattutto dal pontificato di Leone XIII e da prima ancora, dalla caduta dello Stato Pontificio, il papato si è trasformato in una forza morale sul piano internazionale. Lo storico Gilles Ferragu ha trattato mirabilmente questo cambiamento.

Tornando alla filosofia tomista, la Santa Sede propone una casistica applicata – tra l’altro – alle relazioni internazionali. L’enciclica Libertas præstantissimum (1888) enuncia un principio nuovo, l’idea che la moralità stia al cuore del potere:

"Infatti la ragione dimostra, e la storia conferma, che le nazioni, quanto più sono morigerate, tanto più prosperano per libertà, ricchezza e potenza."

Quest’idea avrebbe ispirato la politica estera della Santa Sede che, sulla scena internazionale, da decenni si spende nel ruolo di arbitro o di mediatore nei conflitti. Più prosaicamente, si possono collocare alcuni interventi da Leone XIII a Papa Francesco nella continuità dei movimenti della Pax Dei che, nel Medio Evo, invitavano i principi a concedersi dei tempi di pace. Questi interventi rivelano del resto per gli storici l’impresa benefica della Chiesa sulla società e sui costumi.

A. P.-L.: A proposito, quale impatto possono avere tali dichiarazioni?

Ch. D.: È difficile dirlo. C’è un certo profetismo nel Papa, cosa che alcuni (s)qualificano di utopia, dal momento che la storia ci mostra che i progetti per la pace perpetua sono falliti. Nella tradizione di Kant, un uomo politico inglese rispondente al nome di Norman Angela profetizzava la fine della guerra entro il 1910. Egli sosteneva che nessuno Stato avrebbe potuto far fronte ai costi vertiginosi comportati da un conflitto. Quattro anni dopo la soglia stabilita dal teorico, invece, l’Europa sarebbe sprofondata nel vortice. E si sa che gli appelli alla pace di Benedetto XV (1914-1922) sono risuonati come grida in un deserto (di sangue). Più tardi, Pio XII ha ritenuto quella lezione agendo nel silenzio ma con efficacia. Questo a favore delle vittime ma anche, per esempio, sostenendo il famoso complotto di Stauffenberg contro Hitler.

La politica della Santa Sede porta i suoi frutti nel profetismo pubblico – si pensi a Giovanni Paolo II nella sua lotta contro il comunismo! – ma anche nel silenzio di un’azione diplomatica. Le due cose vanno insieme, a seconda delle epoche, e solo l’avvenire ci dirà se l’appello di Papa Francesco avrà avuto effetti misurabili.

[Fine articolo da Aleteia.
Traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio. Autrice francese Agnès Pinard Legry, intervista allo storico Christophe Dickès]


Per essere documentati sul pensiero della Chiesa precedente a Papa Francesco è utile ricordare anche l'enciclica Pacem in Terris di Papa Giovanni XXIII che nel 1963 parla esplicitamente di disarmo (integrato ed integrale).
Ecco l'estratto sul tema specifico:

59. Ci è pure doloroso costatare come nelle comunità politiche economicamente più sviluppate si siano creati e si continuano a creare armamenti giganteschi; come a tale scopo venga assorbita una percentuale altissima di energie spirituali e di risorse economiche; gli stessi cittadini di quelle comunità politiche siano sottoposti a sacrifici non lievi; mentre altre comunità politiche vengono, di conseguenza, private di collaborazioni indispensabili al loro sviluppo economico e al loro progresso sociale.

Gli armamenti, come è noto, si sogliono giustificare adducendo il motivo che se una pace oggi è possibile, non può essere che la pace fondata sull’equilibrio delle forze. Quindi se una comunità politica si arma, le altre comunità politiche devono tenere il passo ed armarsi esse pure. E se una comunità politica produce armi atomiche, le altre devono pure produrre armi atomiche di potenza distruttiva pari.

60. In conseguenza gli esseri umani vivono sotto l’incubo di un uragano che potrebbe scatenarsi ad ogni istante con una travolgenza inimmaginabile. Giacché le armi ci sono; e se è difficile persuadersi che vi siano persone capaci di assumersi la responsabilità delle distruzioni e dei dolori che una guerra causerebbe, non è escluso che un fatto imprevedibile ed incontrollabile possa far scoccare la scintilla che metta in moto l’apparato bellico. Inoltre va pure tenuto presente che se anche una guerra a fondo, grazie all’efficacia deterrente delle stesse armi, non avrà luogo, è giustificato il timore che il fatto della sola continuazione degli esperimenti nucleari a scopi bellici possa avere conseguenze fatali per la vita sulla terra.

Per cui giustizia, saggezza ed umanità domandano che venga arrestata la corsa agli armamenti, si riducano simultaneamente e reciprocamente gli armamenti già esistenti; si mettano al bando le armi nucleari; e si pervenga finalmente al disarmo integrato da controlli efficaci. 
"Non si deve permettere — proclama Pio XII — che la sciagura di una guerra mondiale con le sue rovine economiche e sociali e le sue aberrazioni e perturbamenti morali si rovesci per la terza volta sull’umanità".

61. Occorre però riconoscere che l’arresto agli armamenti a scopi bellici, la loro effettiva riduzione, e, a maggior ragione, la loro eliminazione sono impossibili o quasi, se nello stesso tempo non si procedesse ad un disarmo integrale; se cioè non si smontano anche gli spiriti, adoprandosi sinceramente a dissolvere, in essi, la psicosi bellica: il che comporta, a sua volta, che al criterio della pace che si regge sull’equilibrio degli armamenti, si sostituisca il principio che la vera pace si può costruire soltanto nella vicendevole fiducia. Noi riteniamo che si tratti di un obiettivo che può essere conseguito. Giacché esso è reclamato dalla retta ragione, è desideratissimo, ed è della più alta utilità.

62. È un obiettivo reclamato dalla ragione. È evidente, o almeno dovrebbe esserlo per tutti, che i rapporti fra le comunità politiche, come quelli fra i singoli esseri umani, vanno regolati non facendo ricorso alla forza delle armi, ma nella luce della ragione; e cioè nella verità, nella giustizia, nella solidarietà operante.

È un obiettivo desideratissimo. Ed invero chi è che non desidera ardentissimamente che il pericolo della guerra sia eliminato e la pace sia salvaguardata e consolidata?

È un obiettivo della più alta utilità. Dalla pace tutti traggono vantaggi: individui, famiglie, popoli, l’intera famiglia umana. Risuonano ancora oggi severamente ammonitrici le parole di Pio XII: "Nulla è perduto con la pace. Tutto può essere perduto con la guerra".

63. Perciò come vicario di Gesù Cristo, Salvatore del mondo e artefice della pace, e come interprete dell’anelito più profondo dell’intera famiglia umana, seguendo l’impulso del nostro animo, preso dall’ansia di bene per tutti, ci sentiamo in dovere di scongiurare gli uomini, soprattutto quelli che sono investiti di responsabilità pubbliche, a non risparmiare fatiche per imprimere alle cose un corso ragionevole ed umano.

Nelle assemblee più alte e qualificate considerino a fondo il problema della ricomposizione pacifica dei rapporti tra le comunità politiche su piano mondiale: ricomposizione fondata sulla mutua fiducia, sulla sincerità nelle trattative, sulla fedeltà agli impegni assunti. Scrutino il problema fino a individuare il punto donde è possibile iniziare l’avvio verso intese leali, durature, feconde.

Da parte nostra non cesseremo di implorare le benedizioni di Dio sulle loro fatiche, affinché apportino risultati positivi.

Giovanni XXIII, 11 aprile 1963

Testo integrale della Pacem in Terris al link
http://www.vatican.va/content/john-xxiii/it/encyclicals/documents/hf_j-xxiii_enc_11041963_pacem.html

Commenti