Metodi antichi...

Sono cose serissime. Davvero molto serie. Ma a me fanno scattare la risata. Non ne posso fare a meno. Leggo e scoppio a ridere. La mia non è una risata che sottovaluta o irride o disprezza. Non è la risata di superiorità di una che legge negli anni Duemila una storia del 300 dopo Cristo.
Rido in ringraziamento di quello che hanno fatto i nostri Padri - che erano serissimi.

Sto parlando dell'ordinazione sacerdotale - e poi episcopale di Sant'Agostino. Non certo l'unica avvenuta in questo modo tra gli antichi cristiani.

Breve premessa sulla storia precedente di Agostino: dopo il Battesimo a Milano e dopo vari approfondimenti, aveva già deciso di rinunciare alle donne, al matrimonio, e ad altre attività mondane di carriera, per fondare un'umile comunità monastica al servizio della Chiesa, iniziando con alcuni amici con la sua stessa vocazione. In quegli anni però la sua bravura nello spiegare la fede cristiana era stata molto "pubblicizzata" col passaparola.
In conseguenza di questo - volendo fermamente realizzare i suoi progetti di vita monastica - e sapendo i "rischi" che correva (poi leggerete quali rischi), andava solo in certe chiese - cioè in quelle dotate di vescovo.
Ma a quanto pare qualcuno, o Qualcuno, gli cambiò un pò i piani.
Ne siamo tutti felici - e ridiamo - ancora oggi... ma solo come preludio di una spiritualità profondissima alla quale ci introduce lo stesso Agostino spiegandoci quegli eventi.

Presento qui alcuni estratti dai documenti autentici.
Sono disponibili integralmente in originale latino e in italiano sul sito www.augustinus.it

1) Da Possidio, il suo biografo, Vita di S. Agostino
2) Da Agostino Epistola 21
3) Da Agostino Discorso 355





Possidio
Vita di Sant'Agostino
(nascita a Tagaste 354 - morte a Ippona 430)

SACERDOTE PER FORZA

In quel tempo esercitava l'ufficio di vescovo nella comunità cattolica di Ippona il santo Valerio. Mentre egli un giorno parlava al popolo di Dio circa la scelta e l'ordinazione di un prete e l'esortava in proposito, perché così richiedeva la necessità della chiesa, frammisto in mezzo al popolo assisteva Agostino, sicuro e ignaro di ciò che stava per succedere: infatti egli era solito - come ci diceva - non frequentare soltanto le chiese che sapeva prive di vescovo.

Allora alcune persone, che conoscevano la dottrina di Agostino e i suoi propositi, gettategli le mani addosso, lo tennero fermo e, come suole accadere in casi del genere, lo presentarono al vescovo perché fosse ordinato, mentre tutti unanimi in quel proposito chiedevano che così si facesse. Mentre insistevano con grande entusiasmo e clamore, egli piangeva a calde lacrime: alcuni - come egli stesso ci riferì - interpretarono tali lacrime come manifestazione di superbia e cercavano di consolarlo dicendo che certo egli era degno di maggiore onore, ma che comunque l'esser prete lo avvicinava alla dignità episcopale.

Invece l'uomo di Dio - come ci disse - osservava la cosa più a fondo e gemeva prevedendo i molti e grandi pericoli che sarebbero derivati alla sua vita dal governo e dall'amministrazione della chiesa: per tal motivo piangeva. Ma infine la cosa si compì secondo quanto voleva il desiderio del popolo.

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Agostino, sacerdote a Ippona
LETTERA 21

[Riassunto della lettera: Agostino, ordinato prete della chiesa d'Ippona (inizio del 391) soprattutto per predicare la parola di Dio, e perciò di fronte alle difficoltà e ai pericoli che presenta tale ufficio e a causa dei quali egli pianse durante l'ordinazione sacerdotale, prega e scongiura il vescovo Valerio di concedergli un periodo di ritiro al fine di ben prepararsi al ministero sacerdotale, dovere di cui dovranno rispondere a Dio stesso Agostino e il vescovo.]

AGOSTINO PRETE SALUTA NEL SIGNORE IL BEATISSIMO E VENERABILE SIGNORE VESCOVO VALERIO,
AL COSPETTO DEL SIGNORE
PADRE SINCERAMENTE CARISSIMO

"Innanzitutto io prego la tua religiosa prudenza di considerare che in questa vita e soprattutto in questo tempo non v'è nulla di più facile, piacevole e gradito agli uomini della dignità di vescovo o di prete o di diacono, ma nulla di più miserabile, funesto e riprovevole davanti a Dio se lo si fa negligentemente e con vile adulazione. E che parimenti non v'è nulla in questa vita, e soprattutto in questo tempo, di più difficile, faticoso e pericoloso, ma nulla è più felice agli occhi di Dio, della dignità di vescovo o di prete o di diacono se si assolva a questa milizia nel modo prescritto dal nostro capitano. Quale sia questo modo io non lo appresi né da fanciullo né da adolescente; e, nel tempo in cui avevo cominciato ad apprenderlo mi fu fatta violenza a causa dei miei peccati (non so infatti a che altro debba pensare) per assegnare il secondo posto al timone a me, che non sapevo tenere il remo in mano.

Ma io penso che il mio Signore abbia voluto in questo modo correggermi perché, prima di aver sperimentato quali siano i compiti di tale ufficio, osavo riprendere le colpe di molti nocchieri quasi fossi più dotto e migliore di loro. E così, dopo che fui lanciato in mezzo al mare, allora cominciai a comprendere l'avventatezza delle mie riprensioni, sebbene anche prima giudicassi molto pericoloso questo ministero. E di qui derivavano quelle lacrime che alcuni fratelli mi videro versare in città al tempo della mia ordinazione; e non conoscendo le ragioni del mio dolore mi consolarono, pur con buone intenzioni, con i discorsi di cui furono capaci ma che non avevano nulla a che vedere con la mia ferita. Ma vi ho fatto un'esperienza molto più pesante e più vasta di quello che pensavo; non perché abbia visto dei nuovi flutti o delle tempeste che prima non avessi conosciuto o di cui non avessi sentito parlare o non avessi letto o che non avessi immaginato; bensì perché non sapevo affatto di quali capacità e forze disponessi per evitarle o sopportarle, e perciò le tenevo in qualche conto. Ma il Signore mi ha irriso e ha voluto rivelarmi a me stesso con l'esperienza stessa delle cose.

E se ha fatto questo non per condanna ma per misericordia (lo spero infatti fermamente, almeno ora che ho conosciuto la mia infermità), debbo accuratamente ricercare tutti ì rimedi contenuti nelle sue Scritture, e pregando e leggendo fare in modo di ottenere per l'anima mia uno stato di salute adeguato a incombenze così pericolose: cosa che non ho fatto prima anche perché non ne ho avuto il tempo. Infatti fui ordinato proprio quando pensavo di impiegare il tempo libero per conoscere le divine Scritture e volevo regolare le cose mie in modo da avere libertà di attendere a questo lavoro. E in verità non sapevo ancora che cosa mi mancasse per un compito quale è quello che ora mi tormenta e mi consuma. Che se io pertanto ho appreso che cosa sia indispensabile a un uomo che amministra al popolo i Sacramenti e la parola di Dio a contatto con la realtà stessa, cosicché non ho più la possibilità di conseguire ciò che mi sono accorto di non possedere, vuoi dunque ch'io muoia, o padre Valerio? Dov'è la tua carità? Mi ami davvero? Ami davvero la Chiesa stessa di cui hai voluto ch'io fossi ministro in tale stato? Eppure io sono certo che ami tanto me quanto Lei, ma mi giudichi idoneo, mentre io mi conosco meglio; e tuttavia nemmeno io mi conoscerei se non avessi imparato attraverso l'esperienza.

Ma forse la Santità tua obietta: "Vorrei sapere che cosa manca alla tua istruzione". Ma son tante queste cose, che io potrei enumerare quelle che posseggo più facilmente di quelle che desidero possedere. Infatti oserei affermare che so e ritengo con fede piena quello che importa per la nostra salvezza; ma proprio ciò come potrei dispensarlo per la salvezza degli altri, non ricercando quello che è utile a me, ma quello ch'è utile a molti perché si salvino? E vi sono forse, anzi non c'è dubbio che si trovino scritte nei Libri sacri delle norme, conoscendo e assimilando le quali un uomo di Dio può attendere più ordinatamente agli affari ecclesiastici o per lo meno vivere con più retta coscienza tra le schiere malvage oppure morire per non perdere quella vita a cui sola sospirano i cuori cristiani umili e mansueti. E come può realizzarsi questo se non, come dice il Signore, chiedendo, cercando, bussando; cioè mediante la preghiera, la lettura e le lacrime? A questo scopo io ho voluto impetrare, per mezzo di alcuni fratelli, dalla tua sincerissima e venerabile Carità ed ora voglio impetrarlo con queste preghiere un breve periodo di tempo, ad esempio fino alla Pasqua.

Che potrò infatti rispondere al Signore, mio giudice? "Non potevo più chiedere questo essendo impedito dalle mansioni ecclesiastiche"? 
(...)
Dimmi, ti prego, che cosa potrei rispondere? Vuoi forse che io dica: "Il vecchio Valerio, essendo convinto ch'io fossi istruito in tutto, quanto più mi ha amato tanto meno mi ha permesso di imparare queste cose"?





Agostino, vescovo di Ippona
Dal discorso 355

"Non vorrei dilungarmi, tanto più che io sono qui seduto e voi state a disagio in piedi; lo sapete ormai tutti o quasi tutti che quanti siamo qui, nella casa detta del vescovo, cerchiamo di imitare nella nostra vita, per quanto possiamo, il modello di quei santi di cui dice il libro degli Atti degli Apostoli: "Nessuno diceva sua proprietà quello che gli apparteneva, ma ogni cosa era fra loro in comune". Può darsi che vi sia qualcuno fra di voi che non ha fatto attenzione a questo aspetto della nostra vita, così da conoscerlo come io desidero. Perciò vi spiego ora quello a cui avevo accennato. Voi mi vedete qui vostro vescovo per divina volontà. Quando venni in questa città ero giovane . Molti di voi lo sanno. Cercavo un luogo dove stabilire un monastero e viverci con i miei fratelli. Avevo rinunziato a ogni prospettiva mondana; la carriera che avrei potuto fare nel mondo non la volli, e tuttavia non ho cercato il grado in cui mi trovo qui. Ho preferito stare in luogo umile nella casa del mio Dio che abitare nelle tende degli empi. Mi sono separato da quelli che amano il mondo e neppure mi sono messo alla pari con quelli che presiedono, che fanno da guida alle genti; nel convito del mio Signore non avevo scelto un posto distinto, ma uno degli ultimi posti, un posto inferiore, umile. E invece a lui piacque dirmi: Sali in alto. Io paventavo la carica di vescovo; a tal punto che evitavo di recarmi nelle località dove la sede vescovile risultava vacante, perché era cominciata a circolare tra i servi di Dio una notorietà di qualche peso a mio carico. Io cercavo di evitare questo grado e pregavo Dio, gemendo, di concedere che mi salvassi in una posizione umile, non che dovessi correre pericolo occupando un'alta carica. Ma, come ho detto, il servo non deve contraddire il padrone. In questa città ero venuto per vedere un amico che speravo di guadagnare a Dio e portare con noi nel monastero. Stavo tranquillo, perché la sede era provvista di vescovo. Ma, preso con la forza, di sorpresa, fui ordinato sacerdote e attraverso quel gradino giunsi all'episcopato. Entrando in questa chiesa non portai nulla: solo i vestiti che indossavo in quel momento. E poiché il mio proposito era di vivere con i fratelli nel monastero, il vecchio Valerio, di venerata memoria, conosciuto il mio disegno e la mia volontà, mi fece dono di quel terreno in cui ora sorge il monastero. Cominciai allora a riunire fratelli di buona volontà che volessero essere miei compagni nella povertà, che nulla avessero di loro possesso come io non avevo nulla: che fossero disposti ad imitarmi. Come io avevo venduto la mia piccola proprietà e dato ai poveri il ricavato, così avrebbero dovuto fare quelli che volevano vivere con me. Tutti saremmo vissuti del bene comune. Comune a tutti noi sarebbe stato un grande e fertilissimo podere, lo stesso Dio. Giunsi poi all'episcopato. E lì mi resi conto che il vescovo è tenuto ad usare ospitalità a coloro che lo vengono a trovare, o che sono di passaggio. Se il vescovo non lo facesse, apparirebbe non umano. E in un monastero non sarebbe conveniente introdurre una tale consuetudine, perciò io volli avere con me, in questa stessa sede vescovile, un monastero di chierici. Ed ecco come viviamo. Dal momento che siamo in comunità a nessuno è lecito possedere in proprio. "Forse - insinua qualcuno - c'è chi invece possiede". Lecito non è. Chi possiede fa un illecito. Io dei miei fratelli in genere penso bene, perciò, stando sulla fiducia, mi sono astenuto dal fare un controllo di questo genere. Mi sarebbe parso una diffidenza [nei confronti di un confratello]. Sapevo infatti e so che tutti quelli che vivono con me conoscono il nostro proposito, la regola che governa la nostra condotta".








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